Ridurre l’impatto del cibo sull’ambiente
I ricercatori dell'università di Oxford e di Agroscope, centro svizzero di eccellenza per la ricerca in ambito agrario, hanno creato il più ampio database mai costruito contenente dati sull'impatto ambientale di quasi 40.000 aziende agricole, 1.600 macchinari e delle loro reti di distribuzione.
AMBIENTE – Lo studio, descritto in un paper pubblicato su Science, ha analizzato i 40 alimenti che forniscono il 90% del consumo globale di calorie e ha evidenziato come le pratiche di produzione possano avere conseguenze molto diverse sull’ambiente.
Sono state osservate grandi differenze anche nel caso dello stesso alimento. Per ottenere 100 grammi di proteine, ad esempio, i produttori di carne bovina ad alto impatto hanno bisogno 370 m2 di terreno: per ottenere lo stesso contenuto proteico di carne bovina a basso impatto, è sufficiente una quantità di terreno pari a un cinquantesimo di questo valore. A loro volta, i produttori di carne bovina a basso impatto utilizzano 36 volte più terreno e producono 6 volte più anidride carbonica rispetto ai produttori di piselli. Questa variabilità è stata riscontrata per tutti e cinque gli indicatori valutati nello studio, tra i quali l’uso dell’acqua, l’eutrofizzazione e l’acidificazione.
“Due alimenti che nei negozi sembrano simili possono avere impatti molto diversi sul Pianeta. Al momento, quando scegliamo cosa mangiare, non siamo consapevoli di questi effetti”, spiega Joseph Poore, ricercatore del dipartimento di zoologia dell’università di Oxford, autore dello studio. La maggior parte degli impatti sull’ambiente sono dovuti a un ristretto numero di aziende. Il 15% dei produttori di bovini, ad esempio, produce circa 1,3 tonnellate di CO2 equivalente e consuma 950 milioni di ettari di terreno. Per ogni alimento, il 53% dell’impatto ambientale dipende dal 25% dei produttori: questa variabilità evidenzia grandi possibilità di miglioramento.
Secondo Joseph Poore, infatti, grandi impatti ambientali non sono una conseguenza diretta dei nostri bisogni: gli effetti possono essere ridotti cambiando il metodo di produzione e modificando le abitudini di consumo. Una delle sfide chiave è trovare soluzioni che siano efficaci per milioni di produttori molto diversi, dai piccoli contadini del Bangladesh, che coltivano mezzo ettaro di terreno, ai grandi produttori australiani, che ne coltivano 3000 ettari. Un approccio che funziona per un produttore, infatti, potrebbe rivelarsi inefficace o comportare dei compromessi per un altro. In base allo studio, un aiuto per i produttori viene dall’uso di tecnologie che funzionano attraverso dispositivi mobili, le quali raccolgono informazioni su input, output, clima e terreno, e permettono di stimare gli impatti e migliorare la produttività.
Secondo i ricercatori, però, sebbene i produttori siano una parte fondamentale della soluzione, le loro possibilità sono limitate: per raggiungere dei risultati, è necessario coinvolgere anche i consumatori. I maggiori benefici per l’ambiente si potrebbero ottenere aumentando il consumo di proteine vegetali: uno degli scenari suggeriti prevede, infatti, la riduzione del 50% dei prodotti animali, attraverso la sostituzione di quelli ad alto impatto con prodotti di origine vegetale, e la riduzione del consumo di alimenti come oli, alcol e zucchero. Questo scenario prevede, però, che venga comunicato ai consumatori l’impatto ambientale legato non solo al prodotto ma alla filiera di produzione, ad esempio attraverso l’uso di etichette ambientali. “Dobbiamo trovare dei modi per rendere più semplice adottare comportamenti che agiscono in favore dell’ambiente, sia da parte dei consumatori sia da parte dei produttori” – spiega Poore – “Etichette ambientali e incentivi economici potrebbero favorire un consumo più sostenibile, creando così un circolo virtuoso.”
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