Le teorie alternative sull’AIDS
Chi crede in queste teorie pseudoscientifiche nega che l'AIDS sia provocata dal virus HIV. Il negazionismo, soprattutto quando portato avanti da figure politiche di spicco, ha causato danni enormi: la disinformazione si è trasformata in morti e contagi.
La tesi principale dei fautori delle teorie alternative sull’AIDS afferma che la malattia non sia causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV) ma da un insieme di vari altri fattori. Questa teoria negazionista del nesso HIV/AIDS è stata catalogata come pseudoscientifica e in più occasioni ne è stata dimostrata la totale infondatezza. Nonostante ciò aveva guadagnato un discreto consenso nel recente passato, al punto da avere contribuito in maniera diretta e indiretta alla diffusione dell’epidemia.
Come è nata la tesi negazionista
I seguaci delle ipotesi alternative sull’AIDS hanno fatto spesso riferimento a Peter Duesberg, professore di Biologia Cellulare e Molecolare presso l’University of California, Berkeley, il principale teorico del movimento negazionista sulla correlazione HIV-AIDS. Duesberg, stimato scienziato e pioniere nella ricerca sui retrovirus, nel 1987 aveva pubblicato un articolo dal titolo “Retroviruses as Carcinogens and Pathogens: Expectations and Reality” in cui aveva proposto per la prima volta l’ipotesi secondo cui l’AIDS sarebbe in realtà causato dal consumo di droghe ricreative e di farmaci antiretrovirali e che, in realtà, l’HIV sarebbe innocuo per l’essere umano.
Nel corso degli anni Duesberg ha pubblicato un gran numero di articoli a difesa delle sue teorie, sostenendo più volte l’esistenza di una correlazione statistica tra l’uso di droghe e i casi di AIDS. Ad esempio, secondo lo scienziato americano, l’epidemia di AIDS degli anni ’80 corrisponderebbe a un aumento dell’utilizzo di stupefacenti negli Stati Uniti e in Europa. Duesberg sostiene anche che i farmaci anti-HIV come la azidotimidina (AZT, ricordate il film Dallas Buyers Club?) possano essere addirittura la causa stessa dell’AIDS, così come la povertà e la malnutrizione giocherebbero un ruolo chiave nella diffusione della malattia. Inoltre, nel suo libro pubblicato nel 1996 con il titolo “AIDS. Il virus inventato”, Duesberg ha affermato che il virus non si trasmette per via sessuale.
Le sue idee si sono sempre dimostrate in totale contrasto con i dati scientifici raccolti negli anni. A togliere ogni credibilità alle affermazioni di Duesberg ci hanno pensato due revisioni, pubblicate su Nature e Science, che ne hanno dimostrato la totale inconsistenza. Nonostante le continue smentite, queste tesi negazioniste sono riuscite a imporsi in larghe comunità, ogni volta con risultati devastanti. Il caso più noto è quello del Sudafrica, dove la scelta governativa di seguire le teorie alternative sull’AIDS ha comportato un enorme prezzo da pagare in termini di vite umane e di contagi.
Il negazionismo che fa danni enormi: il caso del Sudafrica
Tra i sostenitori più accaniti delle idee di Duesberg c’è l’ex presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki, responsabile di alcune scelte scriteriate nell’ambito della salute pubblica e aspramente criticato dall’intera comunità internazionale per avere fatto ben poco per combattere l’epidemia dilagante di AIDS. Mbaki, secondo presidente del Sudafrica post-apartheid, ha sposato in toto le teorie negazioniste proposte da Duesberg, contribuendo a diffonderle alla popolazione.
Il 9 luglio 2000, nel corso del suo intervento alla Conferenza Internazionale sull’AIDS tenuta a Durban, Mbeki ha speso molte parole sulla povertà come causa dell’AIDS e ha evitato qualsiasi riferimento all’HIV, delineando così la linea che avrebbe preso il suo governo. Da allora le scelte di Mbeki nella lotta all’AIDS sono state guidate da un profondo ostruzionismo nei confronti della medicina.
Ad esempio, nel 2000 l’azienda farmaceutica Boehringer Ingelheim si era offerta di donare la copertura necessaria al Sudafrica di nevirapina (NVP), il farmaco in grado di prevenire la trasmissione dell’HIV al feto. Il governo ha agito per limitare la disponibilità di nevirapina, che fino al dicembre 2002 era reperibile esclusivamente in due ospedali in tutto il paese. Sotto pressione internazionale, all’alba del 2003 il Sudafrica ha infine approvato un programma nazionale per la lotta all’AIDS, garantendo (sulla carta) l’accesso ai farmaci antiretrovirali.
Questa apertura, però, faceva parte di un piano nazionale che era stato lanciato dall’allora ministro della Salute, Manto Tshabalala-Msimang, che continuava imperterrita a dichiarare che i farmaci tradizionali erano tossici e che per guarire dall’AIDS sarebbe bastata una ricca dieta a base di patate e aglio.
Alla fine gli obiettivi del piano nazionale non sono stati raggiunti – nel 2005 solo il 23% della popolazione aveva accesso a farmaci antiretrovirali – ma, nel frattempo, Mbaki ha continuato la sua opera di disinformazione, arrivando anche a sostenere che l’AIDS e i farmaci per contrastarlo altro non sarebbero che una furba trovata dei paesi occidentali per imporre un nuovo dominio sul Sudafrica e sull’intero continente.
Negli anni del governo Mbeki, numerosissimi ricercatori e attivisti nella lotta all’AIDS hanno denunciato le sue politiche negligenti e pericolose sul tema della salute. Alla fine è stato possibile quantificare le conseguenze quelle decisioni scellerate. Secondo un’indagine pubblicata dalla Harvard School of Public Health (HSPH) in Sudafrica più di 330.000 persone sono morte prematuramente di AIDS tra il 2000 e il 2005 e sono nati come minimo 35.000 bambini infettati dall’HIV.
È stato stimato che nel 2007 circa 5.700.000 sudafricani avessero l’HIV. Secondo i dati UNAIDS, nel 2016, il Sudafrica ha registrato 270.000 nuove infezioni da HIV e 110.000 morti per AIDS. Nel 2016, 7.100.000 persone erano affette da HIV, di cui solo il 56% aveva accesso alla terapia antiretrovirale. Oggi il Sudafrica è ancora afflitto da una delle più grande epidemie di HIV del mondo, con il 19% della popolazione colpita. Thabo Mbeki non ha mai voluto rilasciare un commento sulle conseguenze delle sue politiche.
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