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Dallas Buyers Club, meglio leggere anche i titoli di coda

Il farmaco azitotimidina viene demonizzato per due ore di pellicola, ma nei titoli di coda si precisa che contribuì a salvare milioni di vite come parte della terapia HAART

Dallas_Buyers_ClubSALUTE – Un film tratto da una storia vera, Dallas Buyers Club. È il 1985 e a seguito di un rapporto non protetto con una tossicodipendente il rude texano Ron Woodroof contrae l’HIV: gli vengono dati 30 giorni di vita. Inizialmente rifiuta di accettare la diagnosi, convinto in quanto omofobo che la malattia sia collegata solamente all’ambiente gay.  I sintomi tuttavia non tardano a mostrarsi e Ron perde il lavoro, gli amici, e cerca aiuto in ospedale dove è in corso di sperimentazione l’AZT (azitotimidina, anche nota come zidovudina o ZDV), il primo antivirale approvato dalla Food and Drug Administration (FDA). A metà dei pazienti viene somministrato il farmaco, all’altra metà un placebo senza tracce di principio attivo: Ron non viene accettato nella sperimentazione, perciò corrompe un infermiere e si procura il farmaco di nascosto.

Complice l’abuso di alcool e droga durante l’assunzione dell’AZT, appena le scorte sottobanco finiscono Ron ha un collasso, e viene ricoverato. Tuttavia non demorde e parte per il Messico dove incontra il dottor Vass, radiato dall’albo per le sue teorie alternative, che gli rivela gli effetti dannosi dell’AZT, che non colpisce solo i virus ma anche le cellule sane, e gli prescrive una cura a base di un farmaco non approvato dall’FDA, seppur innocuo: il peptide T. Ron inizia così un traffico illegale di questa proteina apparentemente benefica e di altri farmaci non approvati, importandoli e distribuendoli ai malati in cambio di una quota associativa: nasce così il Dallas Buyers Club.

A fronte di sei nomination agli Oscar, il filo conduttore di Dallas Buyers Club manda un messaggio piuttosto chiaro incentrato sulla pericolosità dell’AZT: una medicina tossica, definita nel film ‘il più costoso farmaco mai prodotto’. Sostanzialmente, sembra che i medici della sperimentazione stiano volontariamente avvelenando i pazienti, con un farmaco che ne peggiora visibilmente le condizioni, e nascondendo loro l’esistenza di cure alternative più efficaci e molto meno tossiche. È andata davvero così? Qual è la storia dell’ azitotimidina?

Questione di dosaggi

In un periodo storico in cui l’AIDS non era una patologia cronica ma quasi una condanna a morte, l’assunzione di AZT aveva in realtà effetti positivi: non si trattava certo di una cura, ma permetteva di ritardare la replicazione del virus, e il paziente poteva guadagnare qualche mese di vita. Perché dunque definirlo ‘tossico’? Perché i pazienti del film sembrano quasi solamente peggiorare? I dosaggi di AZT prescritti nelle sperimentazioni iniziali erano effettivamente troppo alti, non certo per malafede dei dottori quanto per il timore che una dose inferiore non sarebbe stata sufficiente a rallentare il virus in modo significativo. Ben presto i medici se ne resero conto, e la dose somministrata fu dimezzata.

L’azitotimidina infatti agisce da inibitore della trascrittasi inversa, un enzima in grado di sintetizzare DNA partendo da uno stampo di RNA. Questo particolare enzima è tipico dei retrovirus come quello dell’HIV, che si riproducono convertendo il proprio RNA in DNA per integrarlo successivamente nel DNA della cellula ospite. Bloccandone l’attività, la produzione di genoma virale viene impedita e la malattia rallentata.

Come divenne chiaro più tardi, il principale problema nell’utilizzo dell’AZT (che sussiste tutt’ora in alcuni casi di monoterapia) era il fatto che fosse prescritto da solo. Il virus dell’HIV muta infatti molto velocemente, e attaccarlo con un solo antivirale spesso fa sì che sviluppi resistenza a quella particolare terapia, diventando pressoché immune nel giro di poche generazioni. A metà degli anni ’90 si cambiò dunque approccio, e all’AZT fu combinata l’azione di altri due antivirali, con molto meno rischio di veder insorgere una resistenza.

Si tratta dell’approccio noto con il nome di highly active antiretroviral therapy (HAART), ed è proprio in questi termini che l’AZT tanto criticato nel film è in realtà stato parte integrante dei progressi nella trattazione della malattia. Se per due ore di pellicola l’azitodimidina sembra nuocere solamente, convincendo lo spettatore che i medici somministravano veleno ai pazienti, basta attendere i titoli di coda per leggere che il farmaco contribuì poi a salvare milioni di vite proprio come parte dell’HAART.

Per il ciclo ‘non ho nulla da perdere a provarlo

Dopo un ciclo di sperimentazioni tra il 1990 e il 1995, il peptide T tanto menzionato nel film si rivelò innocuo ed efficace né più né meno del placebo. Non fu approvato come farmaco dall’FDA, ma non sortisce effetti pur essendo derivato dalla glicoproteina 120, che si trova sul pericapside (lo strato più esterno) del retrovirus dell’HIV. Cosa dire degli altri farmaci e della ‘terapia sperimentale’ proposta da Ron nel film e provata sulla sua pelle per fugare ogni dubbio?

Scoraggiando tutti i malati dall’assumere AZT, prima di tutto Woodroof consiglia loro di prendere molte vitamine, migliorare l’alimentazione e smettere del tutto di bere e fare uso di sostanza stupefacenti. Tutti ottimi suggerimenti, ma niente che una persona ragionevole non possa comprendere anche senza necessità di una prescrizione. Medica o non.

Per quanto riguarda gli altri farmaci menzionati, come il composto Q e il DDC, la faccenda si fa più seria. Il DDC, in cima alla lista di Woodroof, è un antivirale molto efficace che tuttavia ha effetti collaterali anche più gravi dell’AZT, e un profilo tossicologico che lo rende a tutti gli effetti più pericoloso. Rimase sul mercato finché non furono sperimentati e approvati farmaci più efficaci, e meno tossici. Anche il composto Q andò incontro a una sperimentazione FDA, ma divenne presto chiaro che poteva rivelarsi mortale, e dopo aver causato due decessi nel corso di due diversi trial clinici non venne più somministrato.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Una strategia comune contro HIV e tumori?

Fonti: Washington Post, Treatment Action Group, Aidsmap

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".