ricercaSALUTE

Impulsività decisionale e Parkinson: nessun effetto negativo dopo la stimolazione cerebrale profonda

Studi passati hanno mostrato che dopo la DBS i pazienti facevano più spesso scelte rischiose e impulsive. Una nuova ricerca italiana mostra che non sempre è così.

Scelte rischiose nel gioco e compulsività. In passato, gli studi avevano mostrato conseguenze negative sul comportamento dei pazienti Parkinson trattati con DBS.

Da Trieste arriva una buona notizia: sottoporsi da malati di Parkinson a un intervento di stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS) del nucleo subtalamico non sempre porta a essere più impulsivi nelle proprie scelte, esponendo se stessi a maggiori situazioni di rischio. Ricerche precedenti avevano evidenziato che questo intervento può esporre i pazienti a cambiamenti nel comportamento e nei processi decisionali, attraverso ossessioni o atteggiamenti compulsivi, come la tendenza ad assumere rischi ingiustificati nel gioco o a non saper resistere alle tentazioni del cibo.

Davanti alla famosa domanda: ‘meglio un uovo oggi o una gallina domani?’ le persone operate mostrano un trend di comportamento simile non solo agli altri malati non trattati con DBS, ma anche alle persone sane. La ricerca è stata condotta da un’equipe guidata da Marilena Aiello, neuroscienziata, e da Raffaella Rumiati, direttrice del Laboratorio Neuroscienze e Società della SISSA in collaborazione con gli “Ospedali Riuniti” di Trieste e l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Santa Maria della Misericordia” di Udine. È stata pubblicata su Journal of Neurology.

L’operazione di DBS consiste nell’introduzione di un elettrodo che stimola il nucleo subtalamico – un’area del cervello che nei malati di Parkinson mostra un’attività eccessiva – e lo silenzia, riducendo i sintomi della malattia.

Impulsività e gratificazioni

“Altri studi avevano provato a quantificare gli effetti dell’intervento sull’impulsività decisionale e la capacità di ritardare le gratificazioni, ma utilizzando sempre il denaro come forma di ricompensa, mentre la nostra ricerca si è strutturata in modo diversificato, non solo considerando benefici economici, ma anche facendo uso di ricompense alimentari, sconti e possibilità di partecipare ad attività ricreative, dal momento che tendenzialmente le persone con Parkinson si rivelano essere molto creative e attive. Per ogni tipo di ricompensa la logica era la stessa: mettere le persone davanti alla scelta fra un beneficio minore ma a breve termine o uno maggiore a lungo termine” spiega a OggiScienza Marilena Aiello.

Lo studio ha arruolato 45 persone: 15 pazienti già operati con DBS da almeno un anno, 15 non operati ma con caratteristiche cliniche simili ai primi e un gruppo di controllo composto da 15 persone non malate di Parkinson. In un esercizio al computer, i soggetti potevano decidere se ricevere una piccola ricompensa subito, sotto forma di alimenti particolarmente appetitosi, denaro o facilitazioni per attività da loro ritenute piacevoli, o la stessa ricompensa ma in quantità maggiore più tardi.

In questi compiti tipicamente la scelta dipende dal tempo che intercorre tra un’opzione e l’altra: se è molto piccolo, si sceglie la gratificazione ritardata e viceversa” continua Aiello. “Il principio alla base dell’esperimento è che più il tratto impulsivo è presente, tanto più la prima scelta sarà in ogni caso preferita alla seconda. Noi abbiamo misurato le loro prestazioni in questo compito”.

I risultati sono stati evidenti: l’impianto degli elettrodi non rende i pazienti più impulsivi in questo tipo di situazioni, essi non cercano gratificazioni più frettolosamente rispetto agli altri. Lo stesso si osserva fra coloro i quali avevano preso peso dopo l’intervento. Inoltre, per la prima volta è stato dimostrato che questo comportamento non dipende nemmeno dal tipo di ricompensa che viene offerta. “L’unico aspetto che si osserva è una maggiore impulsività in relazione alla vicinanza dall’intervento, a dosi più elevate di levodopa, una sostanza utilizzata per trattare i sintomi del Parkinson, ed infine a migliori prestazioni in termini di memoria.”

I risultati sono dunque positivi e promettenti, conclude Aiello, “ma il nostro obiettivo è ora ampliare lo studio su più larga scala coinvolgendo gruppi più numerosi di persone, e continuare a studiare in particolare le dinamiche della motivazione legate al cibo.”


Leggi anche: Uno sguardo alla malattia di Parkinson

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.