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Io, sorella Asperger

Ogni neurodiverso lo è a modo suo: se per Susanna Tamaro è una prigione e una sedia a rotelle invisibile, per altri è una peculiarità di cui andare fieri. Il racconto di Francesca, mamma di una ragazza Asperger.

Oggi l’Asperger non è classificato come una condizione singola nel DSM ma come uno dei Disturbi dello Spettro Autistico. Fotografia: Pixabay

È Francesca, mamma di Chiara, a raccontarmi dell’Asperger. Parlando con lei ho capito quanto una parola possa essere sbagliata, anche dannosa. Asperger non è una sindrome, non è una malattia. È una condizione, una sagoma che emerge dal foglio bianco quando ti rendi conto che i punti che hai sempre evidenziato come “stranezze” in realtà sono connessi fra di loro. Che, se proprio vogliamo, è possibile trovare una definizione comune a persone con un determinato vissuto, dovuto a una percezione del mondo e di sé poco frequente. Subito da Francesca ho una viva sensazione di positività rispetto a quest’etichetta.

Prima di questa chiacchierata non avevo idea che ci fossero diverse persone – alcune anche note al grande pubblico – che insospettabilmente per noi, sono in realtà “fratelli e sorelle Asperger”. Un esempio su tutti è la scrittrice Susanna Tamaro, che ne ha parlato da poco nel suo libro Il tuo sguardo illumina il mondo (2018). Anche Luca Pani, ex direttore dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha dichiarato di essere un Asperger.

La frase che mi colpisce di più di Francesca riguarda un aspetto ricorrente della vita di Chiara, sua figlia oggi adolescente: la necessità di lasciarsi periodicamente alle spalle il passato e cominciare un nuovo ciclo. Altrove, con persone diverse, senza il bagaglio di frustrazioni e rancori per ciò che non ha funzionato. Costruire nuovi rapporti per un Asperger è faticoso, per Chiara è ogni volta un’operazione da progettare con cura, senza lasciare nulla all’improvvisazione. Il trucco è riuscire a fare parte di un gruppo restando un po’ defilati. Usa questa espressione Chiara per raccontare quello che intende: ricominciare sotto copertura. Fare in modo che il suo universo interiore, che lei riconosce esistere, non venga colto dagli altri.

Orgogliosi del proprio essere speciali

C’è differenza però con il frequente bisogno di omologazione dei ragazzini. Chiara non vuole negare se stessa, anzi è orgogliosa della propria peculiarità di interessi e della propria acutezza nelle osservazioni. Ma sa che difficilmente verrebbe accettata dalla maggioranza dei coetanei se si rivelasse del tutto. La consapevolezza di sé, sapere di essere un triangolo in un mondo progettato per i cerchi, è un elemento distintivo cruciale fra gli Asperger. Anche il senso della privacy è molto comune, tanto che l’intervista la dobbiamo fare la mattina quando Chiara è a scuola e scegliere nomi non reali per entrambe.

“Per farti un esempio pratico, dopo anni dai primi dubbi che Chiara fosse troppo inquieta e troppo poco integrata, ho deciso di tagliare la testa al toro e recarmi da una specialista per sottopormi all’ADI-R.” Il test, durante il quale i genitori rispondono ad approfondite domande sull’infanzia dei figli, dà subito una risposta affermativa circa la correlazione fra i comportamenti di Chiara e l’Asperger.

“Il problema a quel punto era come comunicare con tatto e circospezione a Chiara che sarebbe stato importante che lei si sottoponesse al test successivo, l’ADOS, per capire se poteva rientrare nello spettro di questa cosa chiamata Asperger. Bene, quando ho preso coraggio per parlarle, la sua risposta è stata: ‘ah, l’ho già fatto su internet un test per l’Asperger. Ci avevo pensato e sono risultata essere al limite. Se ci tieni lo rifaccio dallo psicologo, ma a me interessa poco l’etichetta. Sono io che dico chi sono‘.

Sicuramente starete pensando che in fondo tante persone hanno interessi particolari, anche di nicchia, e che di bambini intelligenti e acuti ce ne sono diversi. Sono vere entrambe le cose. Qui entra in gioco un altro elemento: la percezione netta e costante, seppure forse mai esplicitata, di essere diversi dagli altri, di appartenere a un altro mondo, affiancata da un’incredibile autonomia nel cercare risposte, sondando se stessi e i diversi ambiti di studio.

Sentirsi stranieri nel quotidiano

“Chiara da sempre si è appassionata di antropologia, popolazioni lontane, lingue a rischio di estinzione – mi racconta Francesca – probabilmente per capire se stessa e trovare un popolo in cui riconoscersi, perché nella vita quotidiana si sentiva minoranza, si sentiva straniera. Una risposta l’ha trovata da bambina: lei era vichinga. Ma attenzione: ci teneva a precisare che non si sentiva vichinga, non era un giochino. Lei si diceva proprio vichinga. Non c’era assolutamente modo di convincerla del contrario e alla fine ho imparato a rispettare questo suo pensiero”.

Si tratta di suggestioni infantili destinate a trasformarsi e a sfumare con l’età adulta, ma è anche il segno caratteristico di un cervello ribelle, immune alle convenzioni sociali. Chiara ha delle amiche, vive una vita normale e piena, anche se nel suo caso non sono infrequenti le contestazioni nei confronti dei genitori o dell’autorità.

Come per tante persone Asperger che si sono adattate al contesto che le circonda, la sua è una differenza sfuggente di cui pochi si accorgono senza una conoscenza approfondita. Ma la sensazione rimane comunque, che in lei qualcosa ‘fuori dagli schemi’ ci sia. È difficile che ci si senta dire frasi più precise di “È una persona strana, particolare”.

“Esiste purtroppo lo stereotipo che i bambini Asperger siano una sorta di nerd alla Sheldon Cooper, brillanti all’eccesso e socialmente inetti. Ma le cose non stanno così per grossa parte degli interessati”. In particolare per le ragazze, che manifestano caratteristiche tendenzialmente diverse rispetto ai diagnosticati maschi e sono più brave a compensare le stranezze Asperger, mi racconta Francesca. “Fino a qualche anno fa non si parlava nemmeno di Asperger fra le ragazze. Si tratta quindi di una realtà assolutamente sotto-diagnosticata e per questo penso che il fenomeno di Greta Thunberg possa favorire la conoscenza di questo universo”.

Chiara per esempio non è forte in matematica e non è particolarmente interessata alle materie scientifiche, ma è fissata con i diritti umani e la filosofia politica. “Ogni tanto, scherzando, dico che anche noi in casa abbiamo una Greta, ma senza le trecce” prosegue Francesca. “Lo dico in realtà più io, che Chiara, a cui interessa poco definirsi con un’etichetta”. Anche su questo punto non per tutti è così. Susanna Tamaro ha definito l’Asperger come la sua sedia a rotelle invisibile.

La diagnosi di Asperger

Ricevere una diagnosi di Asperger può essere ancora molto difficile, mi racconta Francesca. La prima cosa che mi dice al telefono è: “sono molto emozionata, perché non parlo spesso di cose così personali, ma lo voglio fare, perché ho iniziato a chiedermi se Chiara fosse Asperger leggendo un articolo su un giornale, e sento il desiderio di restituire in qualche modo il favore a qualcuno che magari leggendo la nostra storia possa collegare i puntini”.

Chiara è stata una bambina ‘particolare’ sin dall’inizio della scuola. Già alle elementari si interrogava sul perché di un certo metodo di insegnamento, su quanto fosse corretto studiare in modo acritico un periodo storico dove era comune la schiavitù, su perché avesse senso fare lavori di gruppo quando ognuno esprimeva la propria intelligenza in modi diversi e ad altezze diverse. “A otto anni per esempio ha contestato alla maestra la visione eurocentrica dello studio della storia e ha iniziato a imparare da sola varie lingue, senza dirlo ai compagni. A noi diceva molto, non tutto.”

La scuola non è un luogo sempre felice per Chiara. Dopo un periodo in cui Francesca la vede tornare a casa triste e insoddisfatta, decide di portarla da uno psicologo per capire quale problema senta la bambina. Non emerge nulla di preciso: è una bambina normale, solo un po’ ansiosa. La risposta corretta non arriva nemmeno quando anni dopo si rivolge a un altro psicologo. “Trovare una persona competente sull’Asperger è molto raro, perché il fenomeno è relativamente poco studiato nelle ragazze e ci si affida ancora molto agli stereotipi, ad esempio si pensa che se ti guarda negli occhi non possa essere Asperger. Le evidenze invece mostrano che il ventaglio di situazioni è ampio”.

Quanto possono essere sbagliate le parole, si diceva. Oggi l’Asperger non è classificato come una condizione singola nel DSM ma come uno dei Disturbi dello Spettro Autistico. “La diagnosi è arrivata quando ho contattato uno specialista privatamente, dicendo che volevo sottopormi al test, prima come mamma e poi – eventualmente – con Chiara. Ma il primo passo, quello decisivo, è avvenuto su mia spinta, perché per il lavoro che faccio ho fortunatamente gli strumenti per studiare e informarmi bene su questi temi”.

A chi serve la diagnosi?

Mi chiedo, lungo tutta la chiacchierata, per chi sia davvero importante ricevere la diagnosi ufficiale di Asperger. Se una persona si sente realizzata scolasticamente, professionalmente, socialmente, nonostante i momenti di difficoltà – chiedo brutalmente a Francesca – che cosa cambia sapere di essere Asperger?

“Servirà a Chiara per interpretare meglio le differenze tra sé e la maggioranza degli altri, che in opposizione ai neurodiversi sono definiti neurotipici. Ma la diagnosi è importante anche per la scuola”. Informare gli insegnanti serve a renderli consapevoli dello stile cognitivo di Chiara, a far sì che comprendano certe sue rigidità senza condannarle, senza insistere su alcuni punti perché si troverebbero davanti un muro. Un esempio è la scelta insindacabile di Chiara di imparare le desinenze latine prima al femminile e poi al maschile, per una ragione politica.

Ma la diagnosi è forse più importante per Francesca stessa. “Vivere con un figlio Asperger non è semplice, perché sono persone che tendono a vedere il mondo in bianco e nero, con una determinazione incrollabile, con cui è spesso difficile comunicare. Sono inflessibili, ma cariche di una passione intensissima nei loro interessi, ti coinvolgono nel loro mondo e nel loro modo di percepirlo, tanto che diventa pesante talvolta star loro dietro. Molti di loro, come Chiara, faticano a leggere fra le righe. La loro comunicazione è molto diretta, letterale quasi. Le devi sempre dire le cose chiaramente, senza lasciare inteso un qualche messaggio nascosto. È faticoso essere un genitore di un bambino Asperger e per me trovare una sorta di logica che mi permettesse di unire i puntini è ed è stato importante. Per capire meglio il passato, interagire in modo più funzionale con lei nel presente, immaginare il futuro”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.