“Nella mente e nel cuore dei cani”: una chiacchierata con Marc Bekoff sul suo ultimo libro
Dagli aspetti fisiologici fino all'emotività e alla storia della domesticazione, oggi sappiamo molto dei cani. Eppure tanti aspetti ancora restano misteriosi, ad esempio come percepiscano lo scorrere del tempo.
Quante cose si ritrova quotidianamente a chiedersi un amante dei cani? Che si abbia la fortuna di conviverci o la possibilità di passare del tempo con loro, la risposta più corretta è: un’infinità. Come percepiscono il mondo? Hanno coscienza di sé? Provano orgoglio o hanno senso dell’umorismo? Ma non si faranno male a giocare in modo così scatenato? E poi, perché si divertono così tanto a giocare? La vita cittadina non sarà troppo stressante per loro?
Il libro di Marc Bekoff “Nella mente e nel cuore dei cani. Vita emotiva e comportamento del vostro miglior amico” (Carocci editore, 2019, 22€) non è precisamente una risposta. Perché l’autore, con assoluta chiarezza, indica tutto ciò che ancora non sappiamo di questa specie, che ci è compagna da così tanto tempo. C’è ancora tanto da approfondire ma di risposte e spunti di riflessione Bekoff ne offre tanti quante sono le domande che ci poniamo. Lo fa nel modo più completo possibile, esplorando il cane sotto diversi punti di vista, da alcuni aspetti della fisiologia all’emotività, unendo con sapienza la sempre crescente mole di studi scientifici condotti sui cani agli aneddoti e ai racconti raccolti non solo dagli studiosi, ma anche dai semplici appassionati.
Scienza e amore per i cani
Il risultato non è un semplice compendio di informazioni sui cani. È, semmai, un riferimento da aprire e sfogliare ogni volta che abbiamo dei dubbi sul loro comportamento, insieme utile e coinvolgente. Utile perché offre un panorama aggiornato delle conoscenze scientifiche sul mondo cognitivo ed emotivo dei cani e ci porta a interrogarci sulla vita – e sul modo d’intenderla – dei cani.
Coinvolgente perché l’amore per gli animali, dichiarato in tutte le opere dell’etologo statunitense, si concentra qui in una delle specie che ci è più vicina, e traspare con forza da ogni pagina: parla di cani, e lo fa per i cani. Per il loro benessere, perché la conoscenza, composta da un insieme di scienza e sensibilità che ci consenta di interrogarci su ciò che osserviamo, è la base imprescindibile per garantirglielo.
“Nella mente e nel cuore dei cani” va quindi molto oltre il semplice nozionismo (come funziona la marcatura? Davvero il concetto di dominanza deve fare così paura, o sarebbe meglio imparare a comprenderlo?). Anche perché il suggerimento di Bekoff è proprio quello di farsi domande, d’imparare a ragionare come un etologo: molti dei suoi spunti di riflessione nascono da un campo di studio privilegiato, quello dell’area cani, dove gli animali riacquistano una (relativa) libertà. Possono interagire senza che un guinzaglio li strattoni via, possono fare cacca e pipì senza che il compagno umano si disperi perché hanno insozzato l’ingresso di un palazzo o la macchina di turno (magari con il proprietario proprio a fianco…). Diventate etologi, suggerisce Bekoff. Lì, nell’area cani, abbiamo un punto d’osservazione che possiamo sfruttare al meglio, per imparare a conoscere i cani e le loro necessità.
Dopo la lettura, abbiamo fatto una chiacchierata con Bekoff.
Come scrive nel primo capitolo del libro, i cani sono rimasti a lungo esclusi dalla ricerca scientifica, ma negli ultimi anni la letteratura al riguardo è considerevolmente aumentata. Da cosa dipende, secondo lei?
Poiché i cani sono stati creati dagli esseri umani, a lungo molti li hanno ritenuti “animali non naturali”, da cui avremmo potuto imparare poco o nulla che ci consentisse di comprendere i loro parenti o altri animali selvatici. Alcuni sono arrivati addirittura a chiamarli “artefatti”, non animali veri. È una prospettiva ridicola, perché possiamo imparare – e abbiamo imparato – moltissimo su chi siano i cani e come siano diventati ciò che sono. Abbiamo imparato moltissimo anche sul processo di domesticazione e quella definita “sindrome da domesticazione”, ossia i cambiamenti avvenuti nei cani e negli altri animali domestici man mano che ne controllavamo la riproduzione e altri aspetti della vita. Come scrivo nel libro, infatti, i cani sono assolutamente “animali veri” e le conoscenze che possiamo acquisire e abbiamo acquisito sul perché fanno ciò che fanno ci hanno aiutato a capire non solo la loro specie ma anche quella dei loro parenti selvatici.
Un aspetto che nel suo libro emerge come fondamentale nella vita di un cane è quello del gioco. È un aspetto di cui ci dovremmo ricordare sempre, anche per altri pet?
Lo è. Non tutti ma molti cani, se non la maggior parte, amano giocare con i loro amici: altri cani, a volte altri animali non umani e alcuni esseri umani. Il gioco è per loro un modo di correre liberi e divertirsi, ed è molto importante per il loro benessere, così come per quello di molti altri animali. Il gioco è un comportamento volontario e se un cane non vuole giocare non è tenuto a farlo; se invece desidera giocare, dovremmo consentirglielo a suo piacimento.
Una delle molte domande che ci si pone a volte sui cani è: cosa sappiamo di come i cani percepiscono il tempo?
Nessuno sa molto del senso del tempo per i cani. Probabilmente non è come il nostro, ma ciò non significa che i cani non registrino il passaggio del tempo in un loro modo canino. Forse sfruttano gli odori e la rapidità con cui evaporano, ma ne sappiamo davvero poco. Spero che le future ricerche ci possano dire di più, perché potremmo usare queste informazioni per prenderci miglior cura di loro, assicurandoci che non soffrano quando sono lasciati da soli.
Qual è l’importanza, per il benessere dei cani, di considerarli (anche) in senso scientifico?
Molti dimenticano che esistono numerosi studi sulle abilità cognitive ed emotive dei cani, perché ci sono così familiari, ed esistono molti racconti sul loro comportamento. Questi ultimi, spesso definiti citizen science, sono molto importanti, ma lo è anche la ricerca scientifica. E questa ci mostra senza dubbio che i cani sono esseri pensanti. Molta ricerca evidenzia che sono in grado di pensare al passato e al presente, e anche di anticipare il futuro. Pensano a come comportarsi in situazioni specifiche e modificano il loro comportamento per fare la “cosa giusta”. I cani non sono automi o robot e c’è molta ricerca che mostra molto chiaramente che hanno vite cognitive ed emotive ricche e profonde.
Nel suo libro ricorda ai lettori che la nostra vita può essere stressante per i cani. Scrive anche che è possibile che i cani randagi siano meno stressati rispetto a quelli che vivono in casa. Che considerazioni si possono fare al riguardo?
Sì, la vita può essere stressante, soprattutto per i cani che vivono in casa. Controlliamo le loro vite e in pratica diciamo loro quando possono mangiare, dormire, fare pipì e cacca, e interagire con gli altri cani e le persone. Come abbiamo evidenziato Jessica Pierce e io nel nostro libro “Unleashing Your Dog: A Field Guide to Giving Your Canine Companion the Best Life Possible“, molti cani vivono davvero in cattività. Questa considerazione non è necessariamente da intendersi come una critica su come sono trattati, sebbene molti cani abbiano una vita domestica davvero difficile, ma piuttosto che conduciamo noi la loro vita e di solito li abituiamo a ciò che noi vogliamo e di cui abbiamo bisogno.
Ci sono ricerche che mostrano come i cani che vivono liberi siano meno stressati e comunque in grado di formare legami forti e a lungo termine con gli esseri umani. La maggior parte delle persone non si rende conto che circa l’80-85% di tutti i cani al mondo vive del tutto o quasi per conto loro. Alcuni hanno contatti occasionali con gli umani, da cui ricevono cibo, un riparo e cure veterinarie – altri no.
L’ipotesi è che questi cani siano meno stressati perché hanno maggior controllo delle loro vite e possono compiere più scelte. Alcuni stimano che vi siano circa dai 900 milioni al miliardo di cani sul pianeta, e ciò significa che ci sono forse 700 milioni di cani che non hanno molti contatti con gli esseri umani. È una delle ragioni per cui dico sempre che non esiste il “cane universale”: i cani con cui ha familiarità la maggior parte delle persone sono cani di casa, e rappresentano una minoranza.
Crede che gli scienziati, o alcune aree di ricerca, siano troppo rigide, o preoccupate, all’idea di antropomorfizzare gli animali? Lei dice spesso che non è una cosa che dovrebbe preoccuparci.
Non sono preoccupato all’idea di umanizzare o antropomorfizzare i cani e gli altri animali. Noi abbiamo bisogno di usare il linguaggio umano, con cui siamo familiari, per descrivere e spiegare ciò che i cani, come gli altri animali, stanno facendo, pensando e sentendo. Quando lo facciamo con attenzione, possiamo fornire spiegazioni e interpretazioni accurate. Certo, a volte possiamo sbagliarci, ma ciò non significa che molte altre volte non possiamo anche avere ragione.
Avviene lo stesso tra noi umani. Non capiamo sempre perfettamente cosa gli altri pensano e sentano, ma possiamo usare le informazioni a nostra disposizione per fare inferenze su ciò che sta avvenendo nella testa e nel cuore delle altre persone. Lo stesso è vero per i cani. I cani non sono robot e dobbiamo prestare attenzione a ogni singolo cane, perché tutti gli individui sono differenti tra loro, perfino quelli della stessa cucciolata.
Come dicevo prima, non esiste il “cane universale”. Ci sono così tanti miti su ciò che il cane, inteso come specie, pensa e sente, ma sono poche o nessuna le generalizzazioni che si applicano a tutti o addirittura alla maggior parte dei cani. Dobbiamo considerare le differenze individuali per poter capire i comportamenti e le scelte che i singoli cani prendono nei diversi contesti, sociali e non. Inoltre, c’è molta ricerca dettagliata che mostra chiaramente come i cani abbiano personalità uniche e dobbiamo aver presenti queste differenze quando proviamo a spiegare il loro comportamento. Dire cose come “i cani fanno questo” o “i cani non fanno quest’altro” può essere molto fuorviante.
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