La sicurezza alimentare? Una questione di naso
Immaginate di poter valutare la qualità dei cibi direttamente tramite una app che comunica col frigo di casa, per capire se quello yogurt aperto che avete lì da un po’ è ancora buono, se quella fettina di carne avanzata è ancora commestibile o se quella punta di parmigiano che avete comprato al nuovo caseificio è oggettivamente di qualità.
Fantascienza? Non per Veronica Sberveglieri e il suo team di Nasys srl, una società spin off dell’Università di Brescia che dal 2016 sviluppa dei sensori ispirati al naso umano. I “nasi elettronici” a cui lavora NASYS sono minuscoli, più piccoli di una moneta da 1 centesimo, ma hanno al loro interno un potenziale notevole per le aziende produttrici, soprattutto dell’agroalimentare, ma anche per chi si occupa di analisi microbiologiche legate all’ambiente o per la sicurezza, e, soprattutto, per i consumatori.
I nasi elettronici vengono “addestrati” a riconoscere determinati aromi e in circa un minuto sono in grado di fornire informazioni accurate sul prodotto che hanno analizzato. Ma chi c’è dietro questi rivoluzionari sensori? Abbiamo intervistato Veronica Sberveglieri, reggiana classe 1980, con un PhD in Scienze, tecnologie e biotecnologie alimentari preso presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Dott.ssa Sberveglieri, com’è nata l’idea di sviluppare i nanosensori alla base del “naso elettronico”?
La prima causa di ospedalizzazione al mondo è l’ingestione di cibo non sicuro, nonostante i controlli e il costante lavoro di chi si occupa di alimenti. È qui che nasce la nostra idea di fornire un dispositivo che sia in grado di supportare, aiutare e fornire ulteriori garanzie a chi si occupa di cibi, e che sia anche facile da usare per tutti, veloce ed economico.
Con questo obiettivo nel 2016 ho deciso, insieme ai miei due attuali soci e cofondatori Elisabetta Comini e Giorgio Sberveglieri, entrambi professori ordinari di Fisica dell’Università di Brescia, di aprire lo spin-off dell’ateneo lombardo dal nome “Nano Sensor Systems – NASYS”.
Come ricercatori, abbiamo pensato di fare un passo verso le aziende e verso i consumatori. Abbiamo così prodotto S3, un dispositivo portatile dotato di sensori nanostrutturati (che potete vedere nell’immagine sotto, nda) in grado di analizzare gli aromi, i gas, ovvero il volatiloma.
Com’è nata la sua passione per la scienza?
Io sono nata in una famiglia in cui la scienza si mangiava a colazione e in cui il mio parere è sempre stato ascoltato, fin dalla più tenera età. Durante il dottorato ho viaggiato davvero tanto e ho avuto la possibilità di venire in contatto con molte realtà lavorative e laboratori in giro per il mondo. Dal 30 dicembre 2016, data che difficilmente dimenticherò, ho preso servizio come ricercatore a tempo indeterminato al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) coronando finalmente il mio sogno e la mia passione con un contratto che mi lega per sempre alla mia più grande passione, che è quello che mi guida nel mio lavoro. Il mio istituto di afferenza si chiama Istituto di Bioscienze e Biorisorse, per il quale svolgo attività di ricerca nell’ambito di tecnologie che possono aiutarci nella vita di tutti i giorni.
Com’è composta la squadra di lavoro? Di cosa si occupa ognuno di voi di NASYS?
Oltre a me, i co-fondatori di NASYS sono i due docenti universitari di cui ho parlato prima: Elisabetta Comini e Giorgio Sberveglieri. Elisabetta Comini è Professoressa Ordinaria di Fisica all’Università di Brescia, dirige il Laboratorio SENSOR dell’ateneo e insieme a me fa sì che NASYS sia una Srl a prevalenza femminile. Giorgio Sberveglieri, Professore Emerito di Fisica dell’Università di Brescia, Ceo & presidente di NASYS, si occupa di sensori da quasi 40 anni. Entrambi sono presenti nell’importante censimento dei maggiori scienziati italiani: Top Italian Scientists.
Inoltre lavorano e collaborano con noi alcuni giovani e validissimi collaboratori come Estefania Núñez Carmona, microbiologa che si occupa della R&D della parte applicativa; Marco Abbatangelo, ingegnere medico che si sta dedicando alle reti neurali, agli algoritmi e alla R&D per la parte di customizzazione; Simone Pezzottini, impegnato a sviluppare l’elettronica, lavora a supporto dei clienti mentre Giorgio Duina, ingegnere elettronico, che e si occupa della crescita e della caratterizzazione dei sensori.
Quali sono le applicazioni pratiche di questi sensori?
I nostri sensori hanno come obiettivo quello di non essere invasivi nelle linee di produzione o dentro le nostre case, di essere veloci, fruibili e utilizzabili da tutti, ma anche “customizzabili” per ogni applicazione. Ci siamo infatti resi conto fin da subito che non potevamo creare un unico dispositivo in grado di lavorare in diversi campi applicativi. Abbiamo quindi puntato tutto sulla personalizzazione del dispositivo. È il sensore che si adatta alle necessità applicative e non il contrario: siamo noi che con il cliente studiamo la soluzione migliore per le sue esigenze. Le applicazioni di cui ci occupiamo maggiormente riguardano il mondo degli alimenti, dai campi alla tavola.
Ci occupiamo di riconoscimenti geografici degli alimenti, che siano materie prime, semi lavorati o prodotti finiti; monitoraggio dei processi di stagionatura, invecchiamento o stoccaggio; controllo dei processi di purificazione delle acque di scarico; supporto e assistenza ai prodotti protetti da certificazioni; identificazioni di possibili contaminazioni di tipo chimico o microbiologico, controllo dell’aria o più in generale dell’ambiente e di IoT (acronimo che sta per “Internet of Things”, cioè “Internet delle cose”, nda) per i dispositivi di preparazione e stoccaggio degli alimenti anche in ambito domestico o nella ristorazione.
Ad ogni modo, qualunque sia l’applicazione pratica dei nostri sensori, la nostra squadra si occupa di quello che a noi piace chiamare “IoF” ovvero “Internet of Food”, cioè “Internet del cibo”. Questo perché il nostro dispositivo viene gestito e controllato da remoto con una web app particolarmente intuitiva che aiuta noi e i nostri clienti a comprendere eventuali problemi e a intervenire, nel caso fosse necessario, in maniera tempestiva.
Oltre a quello alimentare quindi, quali sono i settori interessati al vostro lavoro?
Puntiamo ad espanderci in ambiti come quello biomedicale, in cui crediamo fortemente. Vogliamo poter fornire un dispositivo non invasivo e non doloroso per la diagnosi precoce di molte patologie.
Quali sono le difficoltà che incontrate?
Ad oggi la burocrazia non aiuta la crescita delle piccole aziende, inoltre al momento siamo nella fase in cui dovremmo aumentare esponenzialmente la produzione, ma per farlo servirebbero ulteriori finanziamenti alla nostra ricerca.
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