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Eccentrico. Autismo e Asperger in un saggio autobiografico

Ricevere una diagnosi di autismo a 39 anni significa poter ripercorrere la propria vita con uno sguardo diverso. È successo a Fabrizio Acanfora, che con il suo libro ha vinto il Premio nazionale di divulgazione scientifica 2019.

Non è facile scrivere di autismo ed essere delicati, onesti, diretti e documentati allo stesso tempo. Non è facile nemmeno quando a farlo è un autistico/a che in prima persona si racconta, con la consapevolezza che – tolti alcuni tratti che possono accomunare, come la difficoltà nel riconoscere e comunicare le emozioni, l’iper- o ipo- sensibilità agli stimoli sensoriali, un’empatia peculiare, interessi particolari e/o perseguiti con molta intensità… – ogni persona nello spettro è diversa da tutte le altre. Esattamente come le persone neurotipiche.

Nell’arduo compito di raccontare cosa significa crescere da autistici, scoprendo di esserlo solo una volta adulto, è riuscito Fabrizio Acanfora, autore di eccentrico. Autismo e Asperger in un saggio autobiografico (effequ 2019, 240 pagine, 14 €). Musicista e costruttore di strumenti musicali, coordinatore e docente del Master in Musicoterapia all’Università di Barcellona, Acanfora ha ricevuto la diagnosi dopo aver trascorso i primi 39 anni della sua vita “a cercare di capire quale fosse il problema”.

Poi finalmente si è capito e ha potuto riconoscere in ogni passaggio, dall’infanzia alla vita adulta, la sua atipica normalità. Scoprendo che l’eccentrico bambino che era stato “non era sbagliato, ma diverso”. Fatto in quel modo, e basta.

L’autismo da dentro

Le testimonianze degli autistici adulti senza disabilità intellettiva che sono, per usare le parole di Acanfora, “in una condizione cognitiva più avvantaggiata all’interno dello spettro” sono cruciali: sono quei ragazzi e ragazze, uomini e donne che fino al 2013 probabilmente avrebbero ricevuto una diagnosi di sindrome di Asperger (oggi inclusa, nel DSM 5, nei disturbi dello spettro autistico, anche se molti si identificano tuttora come Asperger e c’è chi chiede un re-inserimento della sindrome di Asperger come voce diagnostica a sé) e sono in grado di offrire una visione dall’interno su cosa significa vivere il mondo da autistici. Aggiungendo sfumature a una narrazione che spesso non riesce ad andare oltre i termini patologici, parlando di deficit, di mancanze, di neurodiversità come problema e mai come arricchimento o semplicemente differenza da quello che è considerato normale.

Una narrazione che tende a fallire nel vedere le peculiarità dell’autismo, dalla capacità di concentrazione immersiva fino all’attenzione per i dettagli e alla (spesso disarmante) onestà, come punti di forza.

Affrontare il tema porta sempre con sé grandi responsabilità, sapendo che a leggere di autismo saranno non solo autistici – magari non ancora diagnosticati e in cerca della propria neurotribù, come l’ha definita il giornalista e scrittore Steve Silberman – ma anche chi ha un autistico nella propria vita e vuole capire meglio la sua realtà, il suo quotidiano, il suo sentire: la propria compagna o compagno di vita oppure un figlio, un’amica, un collega di lavoro nello spettro. Dove ciascuno è diverso.

Pagina dopo pagina Acanfora ripercorre con onestà e spontaneità quei decenni della sua vita che ora trovano spiegazioni e sollievo. Racconta i meltdown, tracolli emotivi (come scoppi di rabbia incontrollata, pianto, movimenti non articolati) in risposta alle situazioni stressanti, a volte non provocati direttamente dalla situazione in corso ma da questa scatenate, come una miccia, un trigger, dopo aver accumulato a lungo un sovraccarico di stimoli sensoriali. Magari senza rendersene conto.

E ancora gli shutdown, lo spegnimento, un’altra risposta al sentirsi sopraffatti che porta a rifiutare l’interazione, staccarsi dal mondo circostante, evitare attivamente e nettamente ciò che non si è più in grado di gestire. Mi spengo, chiudo. Acanfora racconta anche come un modo spesso rigido di affrontare la vita, ad esempio per la forte necessità di routine, rituali e abitudini nel quotidiano, possa far venire paura di vedere allontanarsi chi ci sta accanto. O di come nello spettro si abbia spesso un modo di percepire il mondo e pensare completamente diverso. Ad esempio il pensare per immagini che il mondo ha imparato a conoscere leggendo Temple Grandin.

Io vedo i miei pensieri”, scrive Acanfora. “Se ho appuntamento con Luisa alle otto, nella mia testa scatta l’immagine di Luisa, poi l’orologio con le lancette ferme alle otto, e poi la fotografia di me e Luisa, nel luogo dell’appuntamento. È cosi per tutto, anche se devo andare da qualche parte: prima visualizzo il percorso esatto come in un film. E questo a volte può essere un problema, se la strada non l’ho mai percorsa prima. Quando devo andare in un posto che non conosco, mi perdo. Non c’è scampo”.

Ma in parallelo a questa necessità di visualizzare che può diventare ostacolo, pensare in questo modo ha degli ovvi vantaggi: ed ecco che all’autore vedere i pensieri è tornato utile nella carriera come costruttore di strumenti musicali, laddove un clavicembalo è composto da numerosi pezzi ciascuno dei quali può aver bisogno di decine di lavorazioni differenti. “[…] come in una simulazione al computer nella mia mente cominciano a partire immagini, film dei vari procedimenti da seguire fino a ottenere il risultato, perfetto e senza sbavature”.

Ma non sembri autistico!

L’autore centra il punto anche su un tema che tanti Asperger/autistici conoscono fin troppo bene: il “ma non sembri autistico/a!“. Scegliere di parlare della propria diagnosi con amici o parenti non è mai facile, e spesso ci si scontra con l’incredulità di chi non si capacita che quel suo amico o amica magari un po’ eccentrico, a volte solitario e schivo, un po’ troppo sensibile a odori e rumori, abbia una diagnosi di autismo. E sentirsi dire che si è troppo normali, che le proprie difficoltà non sono diverse da quelle di tutti gli altri, riesce a volte a far sentire come impostori anche quando si ha una diagnosi formale alle spalle, insieme a un lungo e magari doloroso percorso di introspezione.

Tanti tratti autistici, questo è certo, risulteranno familiari anche ai neurotipici: c’è chi odia i rumori forti e improvvisi, chi non sopporta il suono di una persona che mastica o mal tollera il sovrapporsi di più voci che parlano insieme, e chi ancora inorridisce di fronte all’odore o consistenza di determinati alimenti, trova insostenibili i viaggi nei mezzi pubblici, è fotofobico e non sopporta le luci forti, ha una routine molto rigida oppure si sente a disagio nelle situazioni sociali.

“La differenza sta nella concentrazione di più caratteristiche e, soprattutto, nella loro intensità, nella difficoltà che esse pongono allo svolgimento di una vita normale”, scrive Acanfora. Intensità: quando una piccola variazione nelle abitudini di tutti i giorni diventa emergenza e causa panico e stress, quando gli stimoli sensoriali eccessivi compromettono la qualità della vita e la capacità di muoversi con serenità nei contesti sociali quotidiani, quando attività che i più considererebbero normali stancano oltre ogni misura. Quando il pensiero di cosa attende all’esterno rende difficile uscire dalla porta di casa abbandonando la routine, gli spazi conosciuti e allestiti su misura. E il solo pianificare tutte le attività, dallo spostamento verso il lavoro fino all’interazione sociale, può prosciugare le energie.

L’intensità è anche l’elemento chiave dell’Intense World Theory elaborata dai neuroscienziati Henry e Kamila Markram sulla base di modelli animali e analisi della letteratura sull’autismo fin dai primi studi clinici. Come dice il nome stesso è ancora solo una teoria, ma tanto innovativa quanto – agli occhi autistici – probabilmente scontata. Secondo questa teoria, riportata anche nel libro, il cervello autistico non è più lento o meno funzionante rispetto a quello tipico, bensì iperfunzionante: gli stimoli provenienti dall’esterno vengono registrati tutti insieme, senza filtri, in un modo talmente totalizzante da poter sopraffare il bambino autistico e portarlo – per sopportare questo assalto e proteggersi almeno in parte – a chiudersi in sé.

È lo stesso assalto sensoriale che lo seguirà per tutta la vita, crescendo: prima a scuola poi all’università e sul lavoro, sui mezzi pubblici, al supermercato. Dove luci e suoni, odori, voci umane si sovrappongono e arrivano senza filtri, tutti insieme, costantemente, da gestire e ordinare.

Menti differenti

Così “un semplice rimprovero a un bambino autistico in fase di cablaggio rimarrà scolpito nella sua memoria, e qualsiasi situazione simile scatenerà la medesima reazione. Da qui il problema dell’ansia onnipresente”, scrive Acanfora. “Ovviamente, e qui parlo per esperienza, posso dire che vivere in una condizione di ansia costante e incomprensibile, essere perennemente bombardato da suoni, rumori, odori, pensieri che vanno a mille, non è facile”.

Ed è proprio per capire meglio anche i bambini autistici che ascoltare gli adulti diventa fondamentale. Tra le riflessioni dell’autore, verso la fine del libro, ne troviamo una di cui si parla molto e diffusamente tra autistici sui social network, nei blog, negli spazi online e offline dedicati: le terapie comportamentali e, più in generale, i percorsi che i bambini autistici seguono fin dall’infanzia. Percorsi intrapresi con le migliori intenzioni ma volti spesso a renderli “meno autistici”, a cambiarli per far sì che possano integrarsi nella società in modo considerato normale, che si interessino a ciò che è ritenuto adeguato per la loro età, anche se per loro non è spontaneo in alcun modo.

Perché invece, si chiede l’autore, non cercare di capire e incoraggiare ciò che effettivamente i bambini (ma anche i giovani e gli adulti) autistici vogliono, ciò che li fa stare a proprio agio, ciò che li stimola e coinvolge sul serio, senza forzare? Perché non lasciare che perseguano ciò che effettivamente interessa loro con l’intensità e concentrazione tipiche dell’autismo, così che possano far diventare forze e vantaggi quelli che da fuori, a occhi neurotipici, possono spesso sembrare inutili fissazioni?

C’è ancora molta strada da fare per creare unione e comprensione non solo tra neurotipici e autistici ma anche entro lo spettro stesso: non una linea tracciata tra due estremi, “poco autistico” e “molto autistico”, bensì appunto uno spettro composto da diversi aspetti che si manifestano con diverse intensità e sfumature. Libri come eccentrico sono mattoni importanti per costruire quella strada, appena iniziata.

Extra, 2 aprile 2020: in occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo ho intervistato Fabrizio per approfondire il suo libro e il tema dell’autismo.


Leggi anche: Autismo femminile, dalla diagnosi alle neuroscienze

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".