DOMESTICIRUBRICHE

Corpo e mente, gli interventi assistiti con i cavalli

I cavalli offrono una possibilità unica nel panorama degli interventi assistiti con gli animali: lavorare sia sulla sfera motoria sia su quella emotiva e cognitiva. Ma, come in tutti gli interventi che impiegano animali, il loro benessere è la chiave di una relazione valida.

Se pensiamo agli interventi assistiti con gli animali, probabilmente la prima specie che ci viene in mente è il cane. Sulla base del lungo rapporto di co-evoluzione che ha avuto con noi è possibile costruire percorsi terapeutici, riabilitativi o educativi che lo vedono impegnato a casa, nelle aule scolastiche, in ospedale. Può essere un po’ difficile sostituire all’immagine del cane quella di un cavallo: più grande, più ingombrante, meno maneggevole. Ma anche i cavalli, già individuati dalle linee guida del Ministero della Salute come animali idonei agli interventi assistiti, sono impiegati in un gran numero di casi. Anche grazie a una loro caratteristica unica: la possibilità di conciliare gl’interventi cognitivi con quelli motori.

Alla base del rapporto (per ciò che sappiamo)

Come abbiamo già raccontato qui, alla base dell’attrazione che fa da base per la costruzione del rapporto con gli animali ci sono i caratteri neotenici, ossia quell’insieme di tratti che richiamano a caratteristiche infantili e che sono stati selezionati nel corso della domesticazione. «Anche nei cavalli c’è una spiccata componente neotenica che aiuta la relazione. Per questi animali, però, un altro elemento che entra in gioco è la spiccata dimensione, che da una parte può incutere timore, ma dall’altra può affascinare, dare un senso di sicurezza e portare al desiderio di contatto», spiega a OggiScienza Francesca Cirulli, ricercatrice del Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute Mentale dell’Istituto Superiore di Sanità.

Se alla base del rapporto che s’instaura con il cane troviamo lo sguardo, la relazione con il cavallo passa soprattutto attraverso un senso differente: il tatto. Come spiega il rapporto ISTISAN “Metodologie per la valutazione dell’idoneità e del benessere animale negli interventi assistiti con gli animali“, infatti, “il primo contatto [con il cavallo] è sempre tattile e avviene tramite la carezza”. «In tutte le sessioni, anche dove non è previsto di cavalcare, s’inizia immancabilmente con il grooming, strigliando e accarezzando il cavallo», spiega Cirulli. «Questo richiama infatti quel contatto sociale tanto importante per i cavalli allo stato brado e che rappresenta una forma di comunicazione affiliativa».

Se nel cane sono stati descritti i meccanismi neuro-endocrinologici che determinano il senso di benessere che si sviluppa negli interventi assistiti, purtroppo per quanto riguarda il cavallo la ricerca scientifica è ancora scarsa. I cavalli hanno abilità comunicative sofisticate, e un articolo pubblicato sulla rivista Animal nel 2019 e condotto da un gruppo di ricercatori italiani ipotizza che alla base della riuscita degli interventi vi sia una coordinazione mutuale, tanto fisica quanto emotiva, tra la nostra specie e il cavallo (emotional transfer hypothesis). «Sappiamo che nell’essere umano il contatto fisico stimola il rilascio di ossitocina; possiamo aspettarci che questo neuropeptide, già correlato alla relazione tra umano e cane, sia coinvolto anche nella relazione che s’instaura con i cavalli. Tuttavia, quest’ipotesi dovrà essere esplorata e confermata dalla ricerca», spiega la ricercatrice.

Doppio intervento

L’aspetto che rende i cavalli unici nel panorama degli interventi assistiti con gli animali è la dualità d’intervento che si può realizzare. «Le attività con i cavalli portano da una parte alla stimolazione della componente motoria, e dall’altra al coinvolgimento della sfera emotiva», spiega Cirulli. «Alcuni studi sono infatti stati condotti negli interventi per le paralisi cerebrali infantili, un vasto insieme di disturbi che normalmente hanno un coinvolgimento sia motorio che cognitivo ed emotivo, a seconda dell’area cerebrale interessata. La possibilità di coinvolgere entrambe le sfere può offrire un vantaggio anche dal punto di vista neurobiologico, attivando e potenzialmente stimolando una sinergia tra le diverse aree del sistema nervoso centrale».

«La sollecitazione motoria è uno degli elementi che più caratterizzano gli interventi con i cavalli; sollecita il sistema vestibolare migliorando l’equilibrio, oltre ad avere effetti positivi sulla postura, sul tono muscolare e sulla coordinazione», continua la ricercatrice. «Ciò nonostante, la relazione emozionale che s’instaura con il cavallo e la forte stimolazione che provoca dal punto di vista sensoriale e cognitivo fanno sì che esso venga utilizzato con ottimi risultati nei disturbi del neurosviluppo caratterizzati da ritardo cognitivo, nei deficit delle emozioni o in patologie psichiatriche complesse, quale la schizofrenia.

Dal Parkinson ai disturbi alimentari

E non solo. Ad esempio, è stato condotto un piccolo studio su pazienti affetti da Parkinson, una malattia che interessa il sistema motorio ma è spesso accompagnata da disturbi dell’umore come depressione, ansia e apatia che influenzano profondamente la qualità della vita. Gli interventi assistiti con i cavalli hanno mostrato un miglioramento delle capacità motorie e dell’andatura, accompagnate da una diminuzione dei livelli di apatia e un aumento dell’attenzione.

La possibilità d’impiego dei cavalli per gli interventi assistiti è comunque molto vasta. Oltre alle già citate paralisi cerebrali infantili, possono intervenire nel trattamento dei disturbi dello spettro autistico, per i quali hanno mostrato un miglioramento delle funzioni sociali e un effetto anche sulle abilità motorie. Inoltre, possono portare a un miglioramento delle funzioni esecutive anche al termine del percorso d’intervento. «È quella che definiamo generalizzazione, ossia la capacità di riportare un compito anche al di fuori del contesto in cui lo si è appreso, ed è fondamentale perché, per poter avere un effetto positivo sulla qualità della vita, le attività apprese – ad esempio al centro equestre – devono poter essere replicate nella quotidianità», spiega Cirulli.

«Essendo effettuata in un ambiente non medicalizzato e particolarmente ricco di stimoli sensoriali, quale un maneggio, tale attività consente di lavorare sull’acquisizione di una serie di piccole abilità (legate per esempio ai movimenti fini necessari per stringere una redine o allacciare una testiera), nonché sulle funzioni cognitive e sulle abilità e relazioni sociali. Contemporaneamente, consente di lavorare anche su una migliore e più corretta percezione di sé e della propria immagine corporea», spiega Cirulli.

«Ad esempio, abbiamo da poco concluso il Progetto Pilota su Interventi Assistiti con Equidi nei disturbi del comportamento alimentare, nel quale con un team composto da Stefania Cerino, Antonella Piccotti e Laura Dalla Ragione abbiamo sperimentato l’efficacia del volteggio equestre in giovani affette da anoressia e bulimia, condizioni caratterizzate dall’ossessione del cibo e da un’alterata percezione della propria immagine corporea. Il progetto è stato finanziato dalla FISE Umbria e s’inserisce all’interno del progetto europeo ERASMUS+ SPHERE, che ha come scopo di diffondere buone pratiche nel campo dello sport applicato alla riabilitazione psichiatrica. Nel caso del volteggio, all’attività fisica si aggiunge la relazione con il cavallo, amplificando le potenzialità riabilitative che s’incentrano sul lavoro sull’immagine corporea, compromessa in questi disturbi».

Preparazione e benessere, due punti chiave

La preparazione dei cavalli impiegati negli interventi è demandata ai maneggi, mentre la loro conduzione è eseguita da coadiutore; in questi come negli altri percorsi, comunque, il coadiutore non lavora da solo ma in squadra con medici, veterinari, psicologi e tutti gli altri attori che seguono il percorso del paziente. E per quanto riguarda i cavalli stessi, la scelta e il percorso di preparazione sono due punti molto delicati: salute, dimensione e soprattutto temperamento e carattere dell’individuo devono essere valutati attentamente. Per testarle, oltre agli esami veterinari, possono essere impiegati per la valutazione della reattività e della capacità di apprendimento, come il cosiddetto novel object test, nel quale si studia la risposta del cavallo a un oggetto sconosciuto, o l’arena test, nel quale il cavallo è lasciato da solo mentre se ne rileva la frequenza cardiaca, così da valutarne il grado d’indipendenza o gregarietà.

«Fino a relativamente poco fa, negli interventi s’impiegavano cavalli che, ad esempio, avevano terminato l’attività agonistica o troppo anziani per altri impieghi. Oggi, da linee guida ministeriali, bisognerebbe usare solo cavalli adulti e che abbiano avuto una preparazione ad hoc, sebbene questa sia ancora in via di definizione», spiega Cirulli. «Quello che ci auguriamo è che ci sia sempre maggior attenzione alla preparazione degli individui da impiegare negli interventi assistiti, preparazione che deve avvenire fin dall’età giovanile».

Un altro aspetto fondamentale da considerare è il benessere del cavallo stesso. È infatti difficile che un animale stressato possa essere di beneficio per i pazienti e, come afferma il rapporto ISTISAN, sembra che in generale gli animali sviluppino con gli esseri umani una relazione migliore se le loro condizioni di vita sono adeguate. Cirulli conferma quanto OggiScienza ha già scritto qui: l’attuale gestione dei cavalli è spesso irrispettosa delle loro caratteristiche etologiche, e di conseguenza fonte di stress.

«Lo spazio che hanno a disposizione deve consentir loro di svolgere le attività di tipo pascolativo e d’interagire con i loro consimili, situazioni che spesso non si realizzano nei maneggi», commenta Cirulli. «Inoltre, il continuo impiego negli interventi assistiti rischia di sottoporli allo stress derivante dai vincoli fisici e psicologici, come la necessità di controllare continuamente le proprie emozioni. Un altro aspetto gestionale fondamentale è quindi la turnazione del lavoro: il cavallo impiegato negli interventi assistiti deve potersi dedicare anche ad altre attività, ad esempio lavorando nella scuola di equitazione, così da avere sollecitazioni diverse».


Leggi anche: Specie esotiche, il mercato illegale è un problema anche in Italia

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Fotografia: Pixabay

 

Condividi su
Anna Romano
Biologa molecolare e comunicatrice della scienza, amo scrivere (ma anche parlare) di tutto ciò che riguarda il mondo della ricerca.