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Il popolamento delle Americhe secondo la genetica

CRONACA - Appena concluso lo studio più completo sulla storia del patrimonio genetico delle popolazioni indigene americane, realizzato a partire da dati genetici di 500 persone provenienti da 52 popolazioni amerindie e 17 siberiane. L'analisi, condotta da un consorzio di una sessantina di ricercatori europei e americani, tra i quali anche diversi italiani, è stata svolta su circa 364mila marcatori genetici e ha permesso di prendere in considerazione, per la prima volta, le mescolanze tra caratteri europei e africani di ogni individuo. Questi mix di caratteristiche somatiche sono noti in campo genetico come meticciamento.

Geni etiopi e evoluzione umana

NOTIZIE - Linguistica, antropologia e genetica collaborano ormai da tempo, unite dallo scopo di tracciare ipotesi sull'evoluzione delle popolazioni umane. Un'area...

I geni che raccontano la Storia

CRONACA - La genetica può narrare la storia dell'essere umano. Un gruppo di ricercatori della Cornell University, negli Stati Uniti, ha sviluppato un nuovo metodo statistico, basato su sequenze genomiche intere di persone attualmente viventi, per fare luce su eventi che risalgono all'alba della storia umana. Il gruppo ha applicato il metodo ai genomi di individui discendenti da popolazioni di Sud-est asiatico, Europa e Africa occidentale e meridionale. Benché l'analisi si sia limitata a sei genomi soltanto, i ricercatori si sono basati sulla nozione che questi pochi genomi contengono comunque tracce di materiale genetico di migliaia di antenati umani, assemblatisi in nuove combinazioni durante i millenni attraverso la ricombinazione genetica.

L’albero genealogico delle lingue

NOTIZIE - Della ricerca pubblicata qualche giorno fa su Nature da Michael Dunn e colleghi colpisce soprattutto il metodo utilizzato. Il gruppo di ricerca ha infatti unito in uno sforzo multidiscilplinare la linguistica e la biologia evolutiva, applicando i metodi della seconda sulla prima. Dunn e colleghi volevano mettere alla prova due degli approcci più in accreditati in linguistica. Da un alto quello generativo degli eredi di Noam Chomski (non perché sia morto, ma nel senso di scuola), secondo il quale esisterebbero degli universali linguistici, cioè delle caratteristiche comuni a tutti i linguaggi alle quali il sistema cognitivo sarebbe perfettaente "accordato". Dall’altra parte invece ci sarebbe l’approccio statistico (nato, secondo gli autori, da Joseph Greenberg) che va a cercare delle regolarità che correlino entro una data famiglia di linguaggi, per esempio l’ordine delle parole. I due approcci non sono in antitesi, più che altro guardano al problema da prospettive diverse. In ogni caso Dunn e colleghi intendevano testare le due scuole di pensiero, utilizzando però uno strumento nuovo

Brevi e di poco contenuto

NOTIZIE - Fino ad oggi l’ipotesi più accreditata era che la lunghezza delle parole in una lingua dipendesse dalla frequenza d’uso: più una parola è comunemente utilizzata più breve essa è (legge di Zipf – in onore di George Kingsley Zipf, linguista della Harvard Università che l’ha enunciata nel 1953). Un nuovo lavoro a breve pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) propone un’ipotesi alternativa: la lunghezza delle parole è correlata alla quantità di informazione che la parola veicola. Steven Piantadosi, e colleghi al Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno messo alla prova l’ipotesi di Zipf, monitorando l’uso delle parole in 11 lingue europee. Gli scienziati hanno analizzato testi in forma digitale, e stimato la probabilità di una data parola di apparire dopo un’altra specifica parola (o una specifica sequenza di parole). L’assunzione di Piantadosi era che più una parola è prevedibile (dopo un’altra) meno informazione questa parola è in grado di offrire. Secondo la teoria dell’informazione il contenuto informativo è proporzionale al logaritmo negativo della probabilità che una parola venga usata.
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