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Nuove generazioni

Quattro anni fa, due presunti ricercatori del Center for Research in Applied Phrenology (CRAP) dimostravano l'efficacia del programma SCIgen nel produrre articoli apparentemente di informatica. Le riviste scientifiche non ci sarebbero ricascate, pensava la custode- Sbagliava.

La lotta continua

Nel febbraio 2012, a causa di un boicottaggio lanciato dal matematico Timothy Gowers, la casa editrice Elsevier smetteva di appoggiare il Research Works Act, un emendamento statunitense contro l’open access degli articoli scientifici. Bilancio della mobilitazione e nuove iniziative.

I predoni dell’open access, cont.

ECONOMIA. Torniamo sul racket in open access che pubblica roba scadente in cambio di 1.800 dollari in media. Recluta vittime soprattutto nel terzo mondo con la complicità di ricercatori del primo mondo che, per vanità, ingenuità o peggio, fanno da specchi per le allodole e/o foglie di fico.

Riviste per intenditori

Diversamente dagli intenditori di bufale, Jeffrey Beall su The Scientist deplora la proliferazione "dell'editoria predatoria" la quale sollecita con un’assiduità quasi nigeriana articoli scientifici da pubblicare in open access dietro un modesto investimento.

UK sempre più open (access)

POLITICA - Un altro passo del Regno Unito verso una ricerca open access. Dopo l’annuncio dello scorso giugno della Wellcome Trust, importante fondazione che finanzia la ricerca biomedica, è ora il Research Council del Regno Unito a segnare la via in direzione di un accesso pubblico e gratuito ai risultati della ricerca scientifica. In un comunicato stampa rilasciato lo scorso 16 luglio, l’agenzia britannica per i finanziamenti alla ricerca accademica ha reso pubblica la sua nuova politica: dall’aprile del 2013, i progetti che ricevono fondi dall’agenzia potranno pubblicare i propri risultati soltanto su riviste che accettano l’open access. Entro sei mesi dalla pubblicazione, gli articoli dovranno essere accessibili gratuitamente per tutti

Open access o morte

POLITICA - Qual è l’obiettivo statutario delle fondazioni che finanziano la ricerca? Se lo chiedete a qualsiasi istituzione di questo...

Diffidare delle imitazioni

CRONACA - Anche nella scienza, la refurtiva ha un mercato. Con una spesa modesta, alcuni businessmen aprono catene di riviste in open access nelle quali gli autori pagano per riciclare merce rubata sotto la propria firma. In cambio di una spesa ancora più modesta, gli editori che contano possono dotarsi di software in grado di identificare i plagi. Alcuni non lo fanno. Il motto "pubblicare o perire" è esagerato, ma all'università di Sidney 100 professori sono appena stati licenziati per non aver pubblicato "risultati di ricerca" nei tre anni precedenti. In tutto il mondo il numero delle pubblicazioni contribuisce agli indici che determinano stipendio, carriera o bonus, con il risultato che la quantità prevale sulla qualità e sulla credibilità di editori, riviste, autori, centri di ricerca e società scientifiche.

Elsevier ritira il supporto al Research Works Act

POLITICA - Il boicottaggio deve aver funzionato. Andiamo per ordine. Cos'è il Research Works Act? un nuovo pezzettino di legge proposto negli Stati Uniti lo scorso dicembre e che in soldoni impedisce la pubblicazione open access delle ricerche finanziate con i soldi pubblici americani. Non stupisce scoprire che tale proposta di legge sia invisa a molti anche perché per esempio di fatto annulla la politica open access dei National Institutes of Health, che prevede che la ricerca pagata con i soldi ricavati dalle tasse sia liberamente accessibile online. Per molti si tratta di un vero attacco al proliferare delle riviste open access (sullo stampo di PLoS, per fare un esempio)

La primavera dei matematici

POLITICA - Direttamente e indirettamente, tutti noi paghiamo le pubblicazioni scientifiche. L'appello per boicottare un editore che pratica prezzi esagerati ha già raccolto più di tremila adesioni. In Italia pochissime. Le riviste scientifiche sono oltre 100 mila, per lo più di nicchia e pubblicate da università, società e accademie scientifiche. Quelle che "contano" sono le 14 mila censite dall'Institute for Scientific Information e circa metà appartengono a tre editori: Elsevier, Springer e Wiley che si dividono il 42% del mercato e hanno margini di profitto del 36%. Scrivere articoli e controllare quelli altrui prima che escano fa parte del lavoro per il quale un ricercatore è retribuito, non è a carico degli editori. Ma, dicono questi, sosteniamo costi enormi per la diffusione del prodotto, per la sua infrastruttura digitale. Se i costi sono davvero enormi, da dove salta fuori quel margine di profitto? E a cosa servono infrastrutture private quando esistono già quelle pubbliche, di società scientifiche e di enti di ricerca, finanziate dalla collettività?
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