LA VOCE DEL MASTER – Fino a dieci anni fa l’acidificazione degli oceani era un fenomeno conosciuto solo da un piccolo gruppo di oceanografi. Oggi viene considerato un problema urgente e strettamente collegato al tema del cambiamento climatico: entro il 2100 gli oceani potrebbero infatti diventare più acidi del 150%.
Durante il recente European Maritime Day, la European Science Foundation ha presentato un rapporto intitolato “Impacts of Ocean Acidification”, dando uno sguardo globale sulla ricerca attuale. Il rapporto, preparato da scienziati europei e statunitensi, sottolinea soprattutto l’urgenza di concordare e unire gli sforzi internazionali per monitorare gli effetti dell’acidificazione degli oceani sugli ambienti marini e sulle comunità umane.
Attualmente gli oceani sono in grado di assorbire un terzo delle emissioni di gas serra presenti nell’atmosfera, tamponando così gli effetti del riscaldamento globale. L’aumento della concentrazione di anidride carbonica, derivante dalle attività umane, sta però rendendo meno efficiente questo sistema di assorbimento, aumentando inoltre l’acidità degli oceani stessi. Dall’inizio della rivoluzione industriale, il pH (indicatore di acidità) delle acque oceaniche di superficie è già sceso da una media di 8.2 a 8.1 e si stima che entro il 2100 potrebbe arrivare a 7.8-7.7. L’acidificazione potrebbe comportare cambiamenti drastici e non facilmente immaginabili nell’intero ecosistema marino: il sistema di assorbimento dell’anidride carbonica, chiamato ciclo dei carbonati, è infatti essenziale per la creazione degli ioni bicarbonato che sono i mattoni di base per la costruzione di gusci e scheletri di un gran numero di organismi marini.
La ricerca in questo campo è ancora relativamente nuova e dunque non sono ancora chiare tutte le possibili implicazioni di questo fenomeno, anche a livello sociale ed economico, per le comunità umane che dipendono fortemente dalle risorse marine. “L’acidificazione degli oceani è già in atto e continua a peggiorare” – dice il professor Jelle Bijma, primo autore del rapporto e biogeochimico all’Alfred Wegener Institut in Germania – “La combinazione di questo fenomeno con quello del riscaldamento globale potrebbe diventare la sfida ambientale ed economica più critica di questo secolo”.