Su Nature Climate Change, una ricerca descrive l’effetto dell’innalzamento della temperatura sulle rese del mais in Africa subsahariana. Bella e pure gratuita
IL CORRIERE DELLA SERRA – David Lobell di Stanford, Marianne Bänzinger e altri ricercatori del Cymmit hanno analizzato i risultati di oltre 20.000 esperimenti con varietà di mais diverse, condotti sul campo da 123 stazioni di ricerca agronomica, pubbliche e private, tra il 1999 e il 2007. Li hanno incrociati con i dati meteo quotidiani delle singole località:
Ogni giorno in cui la temperatura superava i 30° C, riduceva la resa dell’1% in condizioni di piovosità ottimale e dell’1,7% in condizioni di siccità…
L’effetto non era omogeneo, per fortuna. Nei siti relativamente “freschi”, con 23° di temperatura media diurna nei 21 giorni cruciali per le pannocchie, un grado in più migliora un po’ la resa. Se la media è di 25°, un grado la fa declinare a meno che le piogge non arrivino al momento giusto e siano aggiunti dei fertilizzanti. Oltre i 28° medi, se manca l’acqua le pannocchie s’immiseriscono. In ogni giorno con 32° la loro resa diminuisce del doppio rispetto a un giorno con 31°:
Nel 65% circa delle zone attuali di coltivazione, le rese calano del 30% per 1 grado di riscaldamento medio nei 21 giorni-chiave della crescita, anche se la piovosità è ottimale. (…)
Siccome i contadini ottengono una resa inferiore a quella dei campi sperimentali (1), gli autori scrivono che dovrebbe esserlo anche il calo percentuale perché
la maggior parte degli esperimenti si sono svolti in gestione ‘ottimale’, con irrigazione da acqua piovana e trattamento agronomico specifico per ogni sito onde minimizzare lo stress da patogeni, da carenza d’acqua e di nutrienti.
Come previsto dal IV rapporto dell’Ipcc, il riscaldamento globale colpisce per primi i contadini africani che non si possono permettere “trattamenti agronomici”. Acqua a parte, è la temperatura massima diurna a fare la differenza al contrario di quanto risultava da ricerche precedenti. E anche al contrario di quanto succede al riso la cui resa dipende dalla temperatura notturna, la quale aumenta di più di quella diurna, insieme all’effetto serra della CO2.
Per una ricerca analoga sul mais, ma in esperimenti attuali invece che “storici”, è gratuita anche quella pubblicata l’anno scorso da Schlenker e Lobell sulle Environmental Research Letters. Manca ancora una ricerca identica sul grano, più vulnerabile alle ondate di calore, come si è visto l’anno scorso in Russia. Pochi ibridi (2) resistono sia alla siccità che al caldo. Il grano transgenico sperimentato in Australia e negli Stati Uniti è progettato per l’agricoltura dei paesi ricchi: sopravvive solo con “trattamenti agronomici” molteplici e abbondanti.
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(1) Per supplire all’assenza di realismo, esiste una pratica detta “participative breeding” in cui sono i contadini stessi a fare gli esperimenti nei propri campi e a riferirne ai ricercatori. Salvatore Ceccarelli che all’Icarda, in Siria, progetta varietà di orzo e grano per “zone aride e semi aride”, è stato uno dei più attivi nel diffonderla.
(2) Come tutte le varietà contemporanee “nane” che crescono poco e danno tanti chicchi, il grano Creso ottenuto per irradiazione con raggi gamma non ha arricchito “la bilancia commerciale” italiana, diversamente di quanto scriveva il Sole 24 Ore. Si usano sementi prodotte da successivi incroci perché, così com’era, una breve siccità bastava a distruggerlo.