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Verso un TripAdvisor delle malattie tropicali?

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ATTUALITÀ – Praticamente tutti i circa 3 milioni di turisti che ogni anno arrivano a Bali, isola indonesiana di cultura hindu, passano almeno qualche ora a Ubud passeggiando nel santuario della Foresta Sacra delle Scimmie (Padangtegal Mandala Wisata Wenara Wana in balinese). Oltre alla bellezza della vegetazione tropicale, l’attrazione principale sono i macachi (Macaca fascicularis) che la popolano. Considerati sacri dalla cultura locale, sono simpatici ladruncoli di frutta e ogni cosa che luccica, e principale soggetto delle fotografie: inservienti dell’ente che gestisce il parco aiutano i turisti a farseli salire in spalla per un fotoritratto. “Il contatto ravvicinato con gli animali liberi è uno dei motivi per cui i turisti vengono a Bali”, spiega Susilawati Tana del Centro per Politiche Sanitarie e Sociali dell’isola a margine del suo intervento a EcoHealth, la conferenza che ha raccolto a Montreal ricercatori ed esperti del rapporto tra ambiente e salute. “Questo tipo di contatti allo stesso tempo rappresentano un aumento del pericolo di diffusione di malattie”.

Uno studio condotto dal team di Pattamaporn Kittayapong, biologa della Mahidol University di Bangkok ha mostrato che nella zona turistica di Koh Chang (un’isola-parco vicino al confine cambogiano) le zanzare completano “il loro pasto di sangue mescolando quello umano con quello delle scimmie”. Il che significa che dopo aver punto una scimmia pungono anche un essere umano (o viceversa), “aumentando in modo consistente la possibilità di passare da scimmia a uomo le malattie”. Come per esempio la chikungunya o la dengue che il team tailandese ha studiato nel periodo 2001 – 2010. Oltre a questa scoperta, nello stesso periodo si è potuta osservare un aumento dei contagi durante l’alta stagione turistica. “Abbiamo anche osservato una maggior presenza di larve di zanzara, sia di Aedes aegypti che di Aedes albopictus (la zanzara tigre, NdR), nelle zone a più alta concentrazione di visitatori”, spiega Kittayapong, “il che ci fa concludere che sotto il profilo della diffusione i luoghi turistici siano dei veri e propri hotspot”, zone calde nella battaglia per il contenimento.

I turisti spesso ignorano i rischi che corrono nei contatti come quelli che avvengono tutti i giorni con le scimmie di Ubud. “Nel nostro studio”, fa notare Kittayapong, “abbiamo documentato l’assenza di precauzioni da parte di moltissimi turisti”: i piedi a mollo nell’acqua, il mancato utilizzo delle zanzariere e di altri dispositivi per limitare le punture di insetto, abbigliamento inadeguato e via di questo passo. Ma nelle stesse zone turistiche del Sud-est asiatico c’è anche una preoccupante assenza di tutela dei lavoratori sotto il profilo della salute. “Spesso non hanno un’assicurazione sanitaria, perché magari sono immigrati illegalmente, e vanno a lavorare anche quando sono malati”, spiega Kittayapong, “mettendo a rischio la propria salute e quella di chi sta loro vicino”.

Nell’isola di Bali, secondo i dati mostrati da Tana, il 70% della raccolta fiscale deriva da attività turistiche. Accanto a questo flusso di denaro ci sono i guadagni di chi lavora nel settore, spesso una vera e propria strada per uscire dalla povertà (“pathway out of poverty”).  Comprensibile, ma solo parzialmente, la resilienza dei governi: c’è la paura di veder diminuire gli affari e il gettito fiscale se si fanno circolare informazioni ritenute ingiustamente allarmanti come quelle di una campagna informativa. “Questo atteggiamento, però, mette a repentaglio la salute pubblica”, afferma Susilawati Tana.

Inoltre perché il progressivo aumento delle aree edificate a discapito di zone verdi nelle città più turistiche sta facendo peggiorare la situazione. A Cat Ba (Vietnam), un’altra località studiata dal team capitanato dai tailandesi, nel decennio 2001 – 2011 la terra usata per scopi agricoli è diminuita del 5%, quella lasciata a foresta del 3%, mentre il territorio urbano è aumentato dell’8% e l’area occupata da servizi per turisti è salita del 94%. L’erosione di spazio verde ha tra i suoi effetti quello di concentrare maggiormente nelle aree urbanizzate esseri umani e insetti-vettore.

La proposta di Kattayapong, a cui partecipa anche il gruppo di Tana, è quella di un network di hotel e strutture turistiche in tutto il Sud-est asiatico (al momento ne fanno parte esercizi in Tailandia, Bali, Filippine, Vietnam) che rispondano ad alcuni criteri basilari per limitare la diffusione delle infezioni. Essenziale è la cura della stessa struttura di accoglienza sotto il profilo igienico e sanitario, a cui si aggiunge la copertura sanitaria per i dipendenti e la loro formazione sulle malattie infettive. Ma l’aspetto più importante è che a tutto ciò è affiancata una campagna informativa per i turisti (materiali informativi in situ) e per la popolazione (attraverso i mezzi di comunicazione. La speranza è che questa specie di TripAdvisor delle malattie tropicali riesca anche a far muovere i governi perché prendano si impegnino maggiormente in questo campo.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Rex Boggs, Flickr

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it