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Tutta colpa del cesareo?

Per il documentario Microbirth obesità, diabete & Co. dipendono anche dal modo in cui nasciamo. E per la scienza?

Crediamo di essere all'apice della nostra esistenza, nel pieno di un'era supertecnologica, e invece non siamo mai stati più ammalati. Obesità, diabete, malattie cardiovascolari e certe forme di tumori hanno ormai raggiunto dimensioni epidemiche, con un impatto anche economico devastante. Sul banco degli imputati finiscono in genere 4 fattori: fumo, alcol, un'alimentazione scorretta, la mancanza di attività fisica. Ma se, oltre a questi, ci fosse almeno un altro elemento da tenere in considerazione? Un elemento finora trascurato e che ha a che fare con il modo in cui veniamo al mondo? Ecco. Questo è, in breve, il punto di partenza di Microbirth http://microbirth.com/, un documentario girato e prodotto da due registi inglesi http://www.altofilms.com/about.html dedicati da anni alla causa del parto naturale. Il 7 febbraio scorso, il documentario è stato proiettato in Italia in varie sedi https://www.google.com/maps/d/u/0/viewer?mid=zwKLHhXUVYgA.klopSs1DyFdc. Lo abbiamo visto, ci abbiamo ragionato un po' su e abbiamo concluso che non ci ha convinto. Obiettivo del film è "puntare il microscopio" su un momento preciso delle nostre vite e cioè la nascita. O, meglio, su un modo particolare di nascere, e cioè attraverso il taglio cesareo, preso un po' come punta dell'iceberg di una tendenza all'eccessiva medicalizzazione di gravidanza e puerpuerio. Ci sono due dati di fatto di partenza. Primo: in alcune parti del mondo il ricorso al taglio cesareo è cresciuto molto velocemente negli ultimi decenni. L'Italia è in questo senso molto rappresentativa: secondo i dati riportati nell'ultimo relazione Istat su Gravidanza, parto e allattamento al seno http://www.istat.it/it/archivio/141431, siamo passati dagli 11,2 cesarei su 100 parti del 1980 ai 36,3 su 100 del 2013. Più del doppio della cifra considerata accettabile dall'Organizzazione mondiale della sanità, che è pari al 15%. Per capirci, nell'Unione europea a 27 eravamo, nel 2011, al 26,7% e negli Stati Uniti (dato 2010) al 31,4%. Secondo dato di fatto: sempre più studi indicano l'esistenza di un'associazione tra parto cesareo e sviluppo di obesità, ma anche diabete di tipo 1, asma o celiachia durante l'infanzia e l'età adulta. Rispetto all'obesità, per esempio, lo fa una revisione http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0087896 della letteratura pubblicata nel 2014 su PLoS One dal gruppo di ricerca della neonatologa Neena Modi dell'Imperial College di Londra, che figura tra gli intervistati di Microbirth. Sia nei suoi paper, sia nel documentario, Modi è molto attenta a precisare che per il momento stiamo appunto parlando di "associazione". Che, sappiamo bene, non significa causa. E quando si ha per le mani un'associazione, c'è soltanto una cosa da fare: studiare, studiare, studiare, per cercare di capire se dipenda da un rapporto causa-effetto o da fattori confondenti. Ecco, uno dei problemi con Microbirth è la sensazione che dia per scontato che, in fondo, per quanto gli studi siano ancora in corso, le conclusioni siano già belle evidenti davanti ai nostri occhi. Tutto il discorso fila spedito così: poiché il parto cesareo altera il microbioma intestinale (cioè la comunità di microrganismi che vivono nell'intestino) dei neonati e poiché alterazioni nella composizione del microbioma intestinale sono associate a obesità e a malattie allergiche o autommuni, come il diabete di tipo 1 o l'asma, allora il parto cesareo è responsabile di obesità, diabete ecc. ecc. Anzi, nel documentario il discorso si allarga, chiamando in causa anche l'epigenetica, cioè un insieme di meccanismi di regolazione dell'espressione genica che non intaccano la sequenza di DNA e sono influenzati dalle condizioni ambientali. Anche qui c'è un dato di fatto di partenza e cioè che alcuni geni accesi in epoca prenatale vengono spenti dopo la nascita e viceversa. L'idea è che il tipo di parto - se spontaneo, assistito o chirurgico - ma anche il tipo di allattamento (naturale o artificiale) e l'eventuale assunzione di farmaci durante il travaglio, come l'ossitocina per stimolare le contrazioni, possano alterare questo balletto di accensione e spegnimento di geni, portando a modificazioni del metabolismo e dunque a conseguenze a lungo termine sulla salute . Ora, intendiamoci: non è che tutto questo in Microbirth venga dato effettivamente per acquisito. Ci sono alcuni passaggi in cui vari intervistati sottolineano quanto è importante continuare a fare ricerca sull'argomento. Però il tono generale lascia pochi dubbi. Nonostante su molti aspetti citati la scienza non sia ancora giunta a conclusioni univoche e definitive, il messaggio del film è chiaro: il pianeta sta fronteggiando una crisi sanitaria immensa, in buona parte questo è colpa del modo in cui veniamo al mondo - troppo medicalizzato! - e se non corriamo subito ai ripari le conseguenze potrebbero essere terrificanti. E a proposito di toni, quelli apocalittici utilizzati sono francamente fastidiosi. "Non siamo mai stati così malati"? Ma via! Nel nostro paese http://www.quotidianosanita.it/cronache/articolo.php?articolo_id=3269 solo 150 anni fa la speranza di vita si aggirava intorno ai 50 anni, e ora siamo intorno agli 80 (un po' meno per i maschi, un po' di più per le femmine). Giusto per intenderci: è chiaro che la cosiddetta epidemia globale di malattie non trasmissibili, come obesità, diabete, certi tumori, malattie cardiovascolari, è un grosso problema di salute pubblica, con un impatto notevole sulle economie di singoli paesi. Ed è chiaro che in alcune situazioni i cesarei sono troppi - per quanto riguarda l'Italia lo ammette anche il Ministero della salute http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=914 - e che ci può essere un problema di medicalizzazione eccessiva delle nascite. Sempre per l'Italia, il dato Istat del 34,7% di episiotomie () nel 2013 la dice lunga (ed è un argomento sul quale torneremo). In altre parole, è chiaro che tutto il tema "nascita" in alcuni contesti va ripensato (sempre senza dimenticare che ci sono parti del mondo in cui un cesareo sarebbe una benedizione, e l'unica modo per salvare la vita di mamma e bambino). Ma presentare scenari da apocalisse, per di più privi al momento di solide basi scientifiche, non ci sembra il modo migliore possibile per puntare l'attenzione su questi temi.
GRAVIDANZA E DINTORNI – Crediamo di essere all’apice della nostra esistenza, nel pieno di un’era supertecnologica, e invece non siamo mai stati più ammalati. Obesità, diabete, malattie cardiovascolari e certe forme di tumori hanno ormai raggiunto dimensioni epidemiche, con un impatto anche economico devastante. Sul banco degli imputati finiscono in genere 4 fattori: fumo, alcol, un’alimentazione scorretta, la mancanza di attività fisica. Ma se, oltre a questi, ci fosse almeno un altro elemento da tenere in considerazione? Un elemento finora trascurato e che ha a che fare con il modo in cui veniamo al mondo? Ecco. Questo è, in breve, il punto di partenza di Microbirth, un documentario girato e prodotto da due registi inglesi dedicati da anni alla causa del parto naturale. Il 7 febbraio scorso, il documentario è stato proiettato in Italia in varie sedi. Lo abbiamo visto, ci abbiamo ragionato un po’ su e abbiamo concluso che non ci ha convinto.

Obiettivo del film è “puntare il microscopio” su un momento preciso delle nostre vite e cioè la nascita. O, meglio, su un modo particolare di nascere, e cioè attraverso il taglio cesareo, preso un po’ come punta dell’iceberg di una tendenza all’eccessiva medicalizzazione di gravidanza e puerpuerio. Ci sono due dati di fatto di partenza. Primo: in alcune parti del mondo il ricorso al taglio cesareo è cresciuto molto velocemente negli ultimi decenni. L’Italia è in questo senso molto rappresentativa: secondo i dati riportati nell’ultimo relazione Istat su Gravidanza, parto e allattamento al seno, siamo passati dagli 11,2 cesarei su 100 parti del 1980 ai 36,3 su 100 del 2013. Più del doppio della cifra considerata accettabile dall’Organizzazione mondiale della sanità, che è pari al 15%. Per capirci, il dato 2011 per l’Unione europea è del 26,7% e quello del 2010 per gli Stati Uniti è del 31,4%.

Secondo dato di fatto: sempre più studi indicano l’esistenza di un’associazione tra parto cesareo e sviluppo di obesità, ma anche diabete di tipo 1, asma o celiachia durante l’infanzia e l’età adulta. Rispetto all’obesità, per esempio, lo fa una revisione della letteratura pubblicata nel 2014 su PLoS One dal gruppo di ricerca della neonatologa Neena Modi dell’Imperial College di Londra, che figura tra gli intervistati di Microbirth. Sia nei suoi paper, sia nel documentario, Modi è molto attenta a precisare che per il momento stiamo appunto parlando di “associazione”. Che, sappiamo bene, non significa causa. E quando si ha per le mani un’associazione, c’è soltanto una cosa da fare: studiare, studiare, studiare, per cercare di capire se dipenda da un rapporto causa-effetto o da fattori confondenti.

Ecco, uno dei problemi con Microbirth è la sensazione che dia per scontato che, in fondo, per quanto gli studi siano ancora in corso, le conclusioni siano già belle evidenti davanti ai nostri occhi. Il discorso fila spedito così: poiché il parto cesareo altera il microbioma intestinale (cioè la comunità di microrganismi che vivono nell’intestino) dei neonati e poiché alterazioni nella composizione del microbioma intestinale sono associate a obesità e a malattie allergiche o autommuni, come il diabete di tipo 1 o l’asma, allora il parto cesareo è responsabile di obesità, diabete ecc. ecc. E ancora: poiché questi sono problemi globali di dimensione epidemica, ripensare la nascita è una salvezza per l’umanità.

In realtà, nel documentario il discorso si allarga, chiamando in causa anche l’epigenetica, cioè un insieme di meccanismi di regolazione dell’espressione genica che non intaccano la sequenza di DNA e sono influenzati dalle condizioni ambientali. Anche qui c’è un dato di fatto di partenza e cioè che alcuni geni accesi in epoca prenatale vengono spenti dopo la nascita e viceversa. L’idea è che il tipo di parto – spontaneo, assistito o chirurgico – ma anche il tipo di allattamento (naturale o artificiale) e l’eventuale assunzione di farmaci durante il travaglio, come l’ossitocina per stimolare le contrazioni, possano alterare questo balletto di accensione e spegnimento di geni, portando a modificazioni del metabolismo e dunque a conseguenze a lungo termine sulla salute.

Ora, non è che tutto questo in Microbirth venga dato effettivamente per acquisito. Ci sono alcuni passaggi in cui vari intervistati sottolineano quanto è importante continuare a fare ricerca sull’argomento. Però il tono generale lascia pochi dubbi. Nonostante su molti aspetti citati la scienza non sia ancora giunta a conclusioni univoche e definitive, il messaggio del film è chiaro: il pianeta sta fronteggiando una crisi sanitaria immensa, in buona parte questo è colpa  del modo in cui veniamo al mondo – troppo medicalizzato! – e se non corriamo subito ai ripari le conseguenze potrebbero essere terrificanti. E a proposito di toni, quelli apocalittici utilizzati sono francamente fastidiosi. “Non siamo mai stati così malati”? Ma via! Nel nostro paese solo 150 anni fa la speranza di vita si aggirava intorno ai 50 anni, e ora siamo intorno agli 80 (un po’ meno per i maschi, un po’ di più per le femmine).

Giusto per intenderci: è chiaro che la cosiddetta epidemia globale di malattie non trasmissibili, come obesità, diabete, certi tumori, malattie cardiovascolari, è un grosso problema di salute pubblica, con un impatto notevole sulle economie di singoli paesi. Ed è chiaro che in alcune situazioni i cesarei sono troppi – per quanto riguarda l’Italia lo ammette anche il Ministero della salute – e che ci può essere un problema di medicalizzazione eccessiva delle nascite. Sempre per l’Italia, il dato Istat del 34,7% di episiotomie (il taglio del perineo) nel 2013 la dice lunga (ed è un argomento sul quale torneremo). In altre parole, è chiaro che tutto il tema “nascita” in alcuni contesti va ripensato (sempre senza dimenticare che ci sono parti del mondo in cui un cesareo sarebbe una benedizione, e l’unica modo per salvare la vita di mamma e bambino). Ma presentare scenari da apocalisse, per di più privi al momento di solide basi scientifiche, non ci sembra il modo migliore per puntare l’attenzione su questi argomento. Il tema del rapporto tra vita pre- e perinatale e salute e benessere immediato e a lungo termine è troppo importante per essere trattato con superficialità o fanatismo.

Leggi anche: Morire di parto in Italia, come stanno le cose

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Crediti immagine: remysharp, Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance