Rincorsa di studi clinici sulla fibrosi cistica
Oltre a ivacaftor, nuove speranze anche dalla terapia genica
APPROFONDIMENTO – Dopo l’introduzione del farmaco Kalydeco, che la casa farmaceutica americana Vertex ha formulato e brevettato nel 2012 grazie al finanziamento della Cystic Fibrosis Foundation, i malati di fibrosi cistica sperano in un farmaco che abbia la stessa efficacia che Kalydeco ha sulle mutazioni per cui è specifico. La mutazione G551D è stata la prima per cui la molecola ivacaftor, sotto il nome commerciale di Kalydeco, è stata approvato dalla Food and Drug Administraton (FDA). In seguito, la FDA ha approvato Kalydeco per altre otto mutazioni. La più recente è la R117H, per la quale il farmaco può essere somministrato anche a bambini di almeno due anni di età. Questo nonostante lo studio pubblicato su Lancet Respiratory Medicine a giugno tragga la conclusione che non vi sia stato un significativo incremento della FEV1 – il volume di aria espulsa in un secondo – ovvero il parametro a oggi più significativo nel monitoraggio della malattia. Il trial, finanziato per intero da Vertex, rileva tuttavia un evidente miglioramento clinico nei pazienti adulti con malattia in fase stabile.
La molecola ivacaftor agisce sulla causa della malattia, ovvero il malfunzionamento della proteina CFTR (Cystic fibrosis transmembrane conductance regulator), che ha il compito di regolare gli scambi di cloro tra l’interno e l’esterno della cellula. È un farmaco comunque attivo solo su mutazioni CFTR rare. Per esempio, tra le quasi 2000 mutazioni del gene CFTR, la G551D riguarda solo il 4% dei malati a livello mondiale e la R117H il 3%, mentre il 70% convive con la mutazione delta-F508.
Ma a questo proposito, lo scorso 2 luglio, la FDA ha approvato un nuovo farmaco, sempre targato Vertex: Orkambi, un mix tra un potenziatore e un correttore della proteina CFTR che è stato testato in uno studio clinico finanziato dalla stessa casa farmaceutica su 1.108 malati di età superiore ai 12 anni omozigoti delta-F508.
Ad appena ventiquatt’ore di distanza, The Lancet Respiratory Medicine pubblica invece i risultati, attesi da tempo, di un trial di terapia genica patrocinato dallo UK Cystic Fibrosis Gene Therapy Consortium, un gruppo di scienziati inglesi che da anni si concentra sulla terapia genica per la fibrosi cistica. Il trial clinico è stato condotto grazie a fondi pubblici messi a disposizione dal Medical Research Council (MRC) e dal National Institute for Health Research (NHS).
Lo studio – randomizzato, in doppio cieco e con gruppo placebo di controllo – ha reclutato pazienti da tutto il Regno Unito, è durato due anni e ha coinvolto 140 malati con varie mutazioni genetiche della malattia. I pazienti erano di età non inferiore a 12 anni e con FEV1 compresa tra il 50% e il 90%. Alla fine del trattamento, 62 pazienti hanno ricevuto ogni 28 giorni una nebulizzazione del complesso liposomiale pGM169/GL67a, ovvero il gene CFTR sano avvolto in una nanoparticella lipidica. 54 pazienti, invece, nello stesso modo hanno ricevuto il placebo, ovvero una soluzione salina. Nei 62 pazienti in terapia, la funzione respiratoria è aumentata mediamente del 3,7% rispetto al gruppo placebo: si tratta quindi di una stabilizzazione della malattia piuttosto che di un miglioramento. Tuttavia, nei pazienti maggiormente compromessi il trattamento è stato più efficace, migliorando la FEV1 del 6,4%.
Alla luce di questa pubblicazione su Lancet Respiratory Medicine, abbiamo rivolto alcune domande a Eric Alton, direttore della Sezione di terapia genica della Facoltà di Medicina al National Heart and Lung Institute dell’Imperial College di Londra e a capo dello studio clinico.
Perché da tanti anni si occupa di terapia genica?
Credo molto nella terapia genica perché innanzitutto funziona e, inoltre, sarà utile non solo per la fibrosi cistica, ma anche per molte altre malattie. Il problema fondamentale della terapia genica è come trasportare il gene sano in quello malato. La gene therapy è efficace per tutte le mutazioni del gene CFTR, mentre Ivacaftor è efficace solo per un numero ristretto di pazienti. Allo stesso tempo, penso che più approcci si usano e meglio è per i malati. Per questo ritengo che dovremmo utilizzare in parallelo sia il trattamento con nanoparticelle liposomiali sia Ivacaftor.
E con l’introduzione di Orkambi, per ora solo in America, cambia qualcosa?
I dati che supportano l’approvazione di Orkambi sono basati su malati di fibrosi cistica omozigoti delta-F508 e non delta-F508 più un’altra mutazione tra le migliaia possibili. I dati del gruppo che ha partecipato allo studio su Orkambi erano simili a quelli del nostro studio di terapia genica, ma questo nuovo farmaco ha il vantaggio di aver dimostrato una riduzione del tasso di esacerbazioni polmonari, sebbene questo dato necessiti, per essere confermato, di due ampi studi di fase III.
Che cosa è cambiato nel vostro trial rispetto a tutti i vari tentativi di terapia genica fatti in passato?
Sappiamo che il gene CFTR sano può essere introdotto attraverso un liposoma o attraverso dei vettori virali. In questo studio, per la prima volta si è introdotto il gene sano attraverso un liposoma e, soprattutto, per la prima volta al mondo, si è riusciti a introdurlo per 12 volte nel corso di un anno. Pur non essendoci stata una replicazione del gene sano, vi è stato un netto miglioramento della funzionalità della proteina CFTR misurata attraverso la broncoscopia. Con il vettore virale il gene può essere introdotto una volta soltanto e per questo non si può avere efficacia clinica.
Perché ha definito i risultati del trial “positivi sebbene discordanti”?
L’obiettivo dello studio di migliorare la funzione respiratoria ha dato risultati parzialmente positivi perché solo un sottogruppo, quello con il grado di funzione respiratoria più severo all’inizio del trial, ha avuto un netto miglioramento.
Dopo questo risultato, che cosa farete?
Stiamo già negoziando con l’industria farmaceutica per trovare un’azienda interessata a finanziare lo studio successivo. Vogliamo capire se sia più efficace aumentare la dose del complesso liposomiale, ripetere più spesso il trattamento oppure combinare il gene avvolto nel liposoma al trattamento con ivacaftor. Nel corso del prossimo anno, metteremo a confronto un gruppo di pazienti che riceverà una quantità più elevata del gene CFTR liposomiale, mentre un altro gruppo riceverà un vettore virale di tipo particolare, l’unico ad oggi esistente che dia la possibilità di somministrare il gene per più volte. Per il primo gruppo abbiamo previsto il finanziamento di una casa farmaceutica e Vertex sarà tra le tante aziende con cui parleremo per continuare il trial con la terapia genica. Per il secondo gruppo, invece, abbiamo sottoposto un’application in Inghilterra e stiamo aspettando l’esito.
Se funzionasse, quanto verrebbe a costare il trattamento?
In realtà non lo sappiamo, stimiamo soltanto che possa arrivare a trentamila dollari all’anno per paziente. Tuttavia, non vi sono ancora abbastanza evidenze che questo approccio possa essere introdotto come regolare metodo di cura: i risultati sono incoraggianti ma non ancora abbastanza convincenti e affidabili per poter introdurre un nuovo farmaco nella pratica clinica. Se i risultati del trial saranno positivi potremmo arrivare a una nuova terapia verso la fine di questo decennio.
La terapia genica per la fibrosi cistica è dunque sempre più vicina?
Credo che i malati di fibrosi cistica abbiano bisogno di nuove cure e che la loro domanda, adesso, dovrebbe essere non più se la terapia genica funziona, bensì quando potremmo averla a disposizione. Quando viene fatto lo screening neonatale e si diagnostica un bambino malato, grazie alla terapia genica sarà possibile prevenire il danno polmonare. È questo l’aspetto fondamentale: la terapia genica non cura la malattia polmonare ma la può prevenire.
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