ricerca

Due soli, un pianeta: così nasce un sistema planetario

Un disco di polveri e gas attorno al sistema binario HD 142527 è la "culla" per pianeti osservata dal telescopio Alma

0215_BINARY-3-WEB-244p3bi
I dati raccolti dall’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array hanno permesso di identificare il sistema binario HD 142527. Crediti immagine: Andrea Isella/Rice University; B. Saxton/NRAO/AUI/NSF; ALMA/NRAO/ESO/NAOJ

SCOPERTE – Due Soli per un pianeta? Anche in un sistema binario formato da due stelle è possibile osservare la nascita di un sistema planetario. Se fino a qualche anno fa gli astronomi ritenevano che la formazione di pianeti nei sistemi binari fosse impossibile, perché l’oggetto era ritenuto destinato ad essere espulso dalla sua orbita o a collassare su uno dei due soli, le osservazioni nel tempo hanno smentito la teoria.

L’ultima smentita arriva dal gruppo di ricerca coordinato da Andrea Isella, astronomo italiano che lavora per la Rice University, che durante la conferenza dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS) a Washington ha annunciato la scoperta di una culla di pianeti nel sistema binario HD 142527, che si trova nell’ammasso di stelle Scorpius-Centaurus, distante dalla Terra ben 450 anni luce.

L’osservazione del sistema binario, circondato da un disco di polveri e gas, si deve alle immagini del telescopio Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma) situato in Cile, lo stesso telescopio che ha permesso l’osservazione di oggetti celesti come HL Tau, le cui immagini ad alta risoluzione ottenute nel 2014 hanno permesso di osservare una stella attorno al quale la formazione di pianeti è in piena attività.

Le due stelle che compongono il sistema binario hanno masse pari a circa 2 masse solari e distano tra loro circa 1,5 miliardi di chilometri, una distanza di poco superiore a quella tra il nostro Sole e il pianeta Saturno. Le immagini scattate da Alma mostrano attorno al sistema un anello di gas, costituito per lo più da monossido di carbonio, e poi da un grande arco che rappresenta circa un terzo del sistema stellare ed è costituito da polveri e ghiaccio.

Nella regione, spiegano i ricercatori della Rice University, le temperature sono così basse da aver portato alla formazione di brina sui grandi grani di polvere. Inoltre i ricercatori hanno notato che nelle zone dove si trova il picco di densità della polvere scompaiono le molecole di monossido di carbonio, come se si congelassero a loro volta, ha spiegato Isella in un comunicato: “Le temperature nella regione sono così basse che il gas si trasforma in ghiaccio e si agglomera in grani. Questo è importante per la formazione planetaria: la polvere per solidificarsi ha bisogno di strutture su cui aggregarsi e formare corpi sempre più grandi, che siano a loro volta in grado di esercitare un’attrazione gravitazionale più forte sulle rocce e sul gas circostante”.

A giocare un ruolo fondamentale nell’agglomerazione delle polveri e del gas sarebbe, spiega Isella, proprio la presenza di brina sulla rocce. Immaginate d’altronde di dover agglomerare due formazioni rocciose: difficilmente queste rimarranno insieme. Ma se pensate invece di fondere due palle di neve, ci riuscirete senza problemi. Questo è quello che accade ai grani di polvere osservati da Alma: lo strato di ghiaccio che si forma al loro esterno aumenta la capacità di agglomerazione e rende la formazione di rocce più grandi possibile.

Proprio questa elevata capacità di agglomerazione consente la creazione di formazioni rocciose sempre più grandi, quali i pianeti, e la scoperta del sistema binario HD 142527 diventa così l’ennesima prova che la formazione di pianeti intorno a sistemi binari non solo è possibile, ma è realtà. Il risultato raggiunto dai ricercatori guidati da Isella è solo l’inizio di una serie di studi più approfonditi che puntano a svelare i meccanismi fisici alla base della formazione dei sistemi planetari, ma molto si deve all’occhio di Alma, che ha fornito immagini di risoluzioni sempre migliori, permettendo così agli astronomi di lavorare su informazioni sempre più accurate.

Una ricerca che non è certo destinata a finire, tanto che anche per HL Tau, la prima stella osservata da Alma in cui è stata trovata attività di formazione planetaria, sono previste nuove e più dettagliate osservazioni, come ha sottolineato Isella: “Abbiamo cercato questi oggetti per almeno 20 anni e adesso potremmo osservarne dalle centinaia alle migliaia proprio grazie ad Alma. Abbiamo scelto di iniziare con gli oggetti più brillanti, che sono più facili da osservare proprio come HL Tau, che per la sua luminosità è dapprima diventato un punto di riferimento per il settaggio degli strumenti e poi ha svelato il suo sistema di anelli del tutto inaspettato. Questa d’altronde è la vera bellezza di Alma. Ogni volta che analizzi i dati raccolti è come aprire un regalo di Natale: non sai mai cosa troverai al suo interno”.

@oscillazioni

Leggi anche: ArgoMoon: l’Italia in viaggio verso lo spazio profondo

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Veronica Nicosia
Aspirante astronauta, astrofisica per formazione, giornalista scientifica per passione. Laureata in Fisica e Astrofisica all'Università La Sapienza, vincitrice del Premio giornalistico Riccardo Tomassetti 2012 con una inchiesta sull'Hiv e del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi 2019 nella sezione Under 35. Content manager SEO di Cultur-e, scrive di scienza, tecnologia, salute, ambiente ed energia. Tra le sue collaborazioni giornalistiche Blitz Quotidiano, Oggiscienza, 'O Magazine e Il Giornale.