Terapie mirate per il cancro al cervello
Nel campo della lotta ai tumori, la ricerca è sempre più impegnata a individuare differenze molecolari tra le diverse malattie per sviluppare una terapia mirata
RICERCANDO ALL’ESTERO – “Dopo diversi decenni di ricerca di base e clinica, oggi siamo al punto in cui stiamo iniziando a curare determinati tipi di cancro. Con curare intendo che se prima, a 5 anni dalla diagnosi di un certo tumore, si aveva una sopravvivenza del 10%, ora siamo passati all’80%. Vivere e partecipare attivamente a questo momento della storia, in cui sta finalmente succedendo qualcosa a livello di cura, è davvero eccitante”.
Nome: Paolo Codega
Età: 37 anni
Nato a: Trieste
Vivo a: New York (Stati Uniti)
Dottorato in: Neuroscienze (Trieste)
Ricerca: Studio dell’espressione genica di IDH1 nel glioma di basso grado e uso di organoidi cerebrali come modello di tumori pediatrici.
Istituto: Memorial Sloan Kettering Cancer Center (New York, USA)
Interessi: suono il basso in una band, i Coastgaard, facciamo diversi concerti anche fuori New York.
Di New York mi piace: conosci tutto il mondo solamente uscendo di casa, perché è tutto compresso nei 20km2 di Manhattan.
Di New York non mi piace: lo stile di vita, tante cose che diamo per scontate in Italia qui diventano complicate (per esempio incontrarsi con gli amici).
Pensiero: The more I see the less I know for sure. (John Lennon, Borrowed Time)
Nel campo della lotta ai tumori, la ricerca è sempre più impegnata nell’individuare differenze molecolari tra i diversi tipi di malattie per riuscire a sviluppare una terapia mirata che possa uccidere più efficacemente le cellule tumorali. Il primo passo per questo tipo di approccio è caratterizzare più nel dettaglio possibile il meccanismo attraverso cui i tumori nascono, crescono e si diffondono nel nostro organismo.
Che tipo di tumore è il glioma di basso grado?
È uno dei tipi più comuni di tumore primario al cervello, generalmente caratterizzato da una mutazione in un enzima chiamato IDH1 (Isocitrate DeHydrogenase 1), coinvolto nel ciclo di Krebs e responsabile della produzione di alfa chetoglutarato. Se mutato, IDH1 produce però un altro metabolita, il 2-idrossiglutarato, che inibisce tutta una serie di enzimi coinvolti nella demetilazione del DNA. La metilazione è una di quelle modificazioni dette epigenetiche ed è un meccanismo fondamentale per il controllo dell’espressione genica.
La mutazione a carico di IDH1, quindi, si traduce in una ipermetilazione del DNA, in un’alterata espressione di alcuni geni e, da ultimo, secondo l’ipotesi più accreditata, in un de-differenziamento delle cellule. Quali sono le cellule coinvolte non è del tutto noto, si pensa siano cellule di natura gliale, quindi astrociti o oligodendrociti. In ogni caso, il tumore ha origine quando queste cellule mutate iniziano a proliferare in maniera non controllata. In questa fase il tumore è ancora abbastanza differenziato, molto poco invasivo e non tanto aggressivo; non è però un tumore benigno perché, anche se in maniera lenta, continua a espandersi, ad accumulare ulteriori mutazioni fino a trasformarsi in glioblastoma secondario, tumore molto aggressivo, al momento incurabile e con una prognosi povera.
È possibile bloccare il tumore inibendo l’attività dell’enzima?
In collaborazione con un’industria farmaceutica di Boston, stiamo testando un farmaco che si chiama AGI-5198 in grado di inibire specificatamente l’attività di IDH1 mutato ma non dell’enzima normale. Quello che vogliamo capire è quali sono i geni che vengono differenzialmente espressi, quindi quali vengono attivati e quali spenti dal metabolita 2-idrossiglutarato e se il trattamento con il farmaco può ripristinare le condizioni fisiologiche.
Per fare ciò utilizziamo diversi metodi: innanzitutto analizziamo i campioni ottenuti dalle biopsie dei pazienti. Allo Sloan Kettering, in fase di diagnosi, viene spesso effettuato il sequenziamento del DNA dei pazienti affetti da glioma di basso grado e quindi noi abbiamo a disposizione tutta una serie di mappe di espressione genica e di metilazione. L’ospedale ha messo a punto un test chiamato IMPACT (Integrated Mutation Profiling of Actionable Cancer Targets) in grado di rilevare quasi 400 tra le più comuni mutazioni genetiche presenti nei tumori.
Un altro approccio che seguiamo è iniettare nei topi le cellule tumorali dei pazienti con questa mutazione in IDH1 e vedere quali sono i geni differenzialmente espressi. Infine, inseriamo in cellule staminali neuronali di topo l’enzima mutato e studiamo il loro differenziamento o, in caso, il loro mancato differenziamento. Dai risultati preliminari sembra che le cellule staminali con la mutazione si differenziano in maniera diversa, che potrebbe essere di meno ma anche più lentamente. Per chiarirlo dobbiamo proseguire con gli esperimenti.
Ti occupi anche di un progetto sugli organoidi cerebrali. Di cosa si tratta?
Ci sono alcuni tumori cerebrali pediatrici poco, o addirittura per niente, curabili. Lavorare con questi tipi di malattie è difficile perché non abbiamo modelli precisi su cui studiare i loro meccanismi molecolari. Abbiamo pensato di creare in vitro degli organoidi cerebrali, cioè strutture che si differenziano naturalmente in tessuto cerebrale partendo da cellule staminali embrionali o pluripotenti indotte. Quest’ultimo tipo di cellule non ha restrizioni etiche perché consiste in cellule terminalmente differenziate che vengono riprogrammate per essere simili a quelle embrionali. Sono linee cellulari che si comprano commercialmente.
Partendo da queste cellule, quindi, si indirizza il differenziamento verso il neuroectoderma, che è il foglietto embrionale da cui si origina il sistema nervoso centrale, fino a ottenere strutture cerebrali più o meno organizzate tipiche del cervello fetale. Si tratta di agglomerati di 2-3 mm che si possono distinguere in base ai marcatori molecolari che producono e quindi, a seconda del fattore espresso, si può capire dove si trova la zona simile all’ippocampo, al telencefalo, ai ventricoli e così via. Ovviamente non sono strutture organizzate bene come un mini-cervello, anche perché mancano del tutto le cellule endoteliali e quindi il flusso sanguigno. Ma, siccome nello sviluppo dell’organoide le cellule hanno un’evoluzione simile a quella del cervello fetale, ho pensato che questo fosse un buon modello (sicuramente meglio delle colture di neuroni) in cui introdurre gli oncogeni tipici di alcuni tumori pediatrici per riprodurre in vitro le loro lesioni genetiche e studiare le vie cellulari che si attivano durante la malattia.
Ti occupi di un tumore pediatrico in particolare?
Uno dei modelli che sto usando è il DIPG (Diffuse Intrinsic Pontine Glioma), un glioma pediatrico attualmente incurabile, molto aggressivo e inoperabile perché avviene nel mesencefalo. Sto coltivando organoidi in cui sto esprimendo vari oncogeni per vedere se hanno un comportamento diverso da quelli che non esprimono oncogeni.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Per IDH1 vogliamo capire se il composto a nostra disposizione ristabilisce un’espressione genica simile a quella fisiologica e vedere se altre versioni del farmaco possono essere usate nella prima fase dei trial clinici, per curare o al limite rallentare la progressione dei gliomi di basso grado. Per gli organoidi, il punto principale è capire se sono un modello adatto per lo studio di tumori cerebrali pediatrici, se sono in grado di simulare in vitro la malattia. Se la risposta sarà positiva, credo che possano diventare strumenti fondamentali per gli screening farmacologici.
Viviamo in un’epoca in cui alcuni tumori possono effettivamente essere curati e questo grazie a un approccio più target-therapy, cioè con farmaci specifici che agiscono sul meccanismo preciso responsabile della malattia (vedi l’inibitore di un enzima mutato). Sto semplificando molto perché bisognerebbe parlare anche di farmaco-resistenza, ma i risultati attuali sono molto promettenti.
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