GRAVIDANZA E DINTORNIIN EVIDENZA

Gravidanza, parto e allattamento al tempo del coronavirus

I dati disponibili sugli effetti di COVID-19 sulle donne in gravidanza e i loro bambini sono ancora scarsi, ma per fortuna nel complesso rassicuranti. La preoccupazione però resta per tutte.

Aspettare, partorire o allattare un bambino durante la pandemia di nuovo coronavirus: molte donne stanno oggi vivendo questa condizione, con un inevitabile carico di preoccupazione. “Il pericolo esiste, è là fuori, e sarebbe folle non essere preoccupati, perché la preoccupazione è un meccanismo di difesa che ci porta a mettere in atto comportamenti protettivi” spiega Melissa Pozzo, psicologa e psicoterapeuta presso il consultorio CEMP di Milano e il Centro Analisi di Barzanò (LC). Fortunatamente, tuttavia, i dati scientifici a disposizione – per quanto ancora scarsi – fanno pensare che le donne in gravidanza non corrano più rischi di ammalarsi rispetto alla popolazione generale, e che se ciò accade le manifestazioni siano tendenzialmente di lieve entità.

OggiScienza ha fatto il punto della situazione con l’aiuto di Serena Donati e Angela Giusti, ricercatrici del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità (ISS), entrambe componenti di un gruppo di lavoro che si occupa proprio di esaminare e divulgare alla comunità degli operatori sanitari tutti gli aggiornamenti della letteratura scientifica sul tema COVID-19 in gravidanza, parto e allattamento. “L’obiettivo – sottolinea Donati – è garantire ai professionisti un’informazione univoca basata su dati e prove e non su pratica empirica, in collaborazione con le varie società scientifiche di settore (ginecologi, ostetrici, neonatologi, pediatri, anestesisti…) che hanno risposto molto bene al nostro appello”.

Rischio di infezione da nuovo coronavirus in gravidanza

Durante la gravidanza si verificano cambiamenti del sistema immunitario che possono facilitare l’acquisizione di alcune infezioni, come l’influenza o la SARS, un’infezione respiratoria provocata da un coronavirus parente piuttosto stretto di quello responsabile della COVID-19. “Per quanto riguarda il nuovo coronavirus non abbiamo ancora certezze definitive perché i casi descritti in letteratura sono ancora pochi, ma sembra proprio che non ci sia una suscettibilità maggiore a contrarlo delle donne in gravidanza rispetto alla popolazione generale”, afferma Donati.

Quanti casi di donne incinte COVID-19 positive ci sono in Italia

“Questo è un dato che al momento non conosciamo, perché le segnalazioni attuali non precisano un eventuale stato di gravidanza” afferma Donati. Sottolineando che proprio per questo l’ISS sta organizzando in velocità uno studio specifico sul tema. Certo le cronache riferiscono di casi di donne in gravidanza positive al virus, ovviamente concentrati nelle regioni in cui il virus stesso sta circolando di più, ma al momento sembra che siano ancora relativamente pochi. “Anche in Cina, del resto, l’incidenza tra le donne incinte è stata piuttosto bassa”.

Secondo Manuela Cardellicchio, ginecologa responsabile della sala parto dell’Ospedale Sacco di Milano – insieme alla clinica Mangiagalli uno dei due centri regionali di riferimento per le donne incinte positive – comunque, “la percezione degli operatori è che stiano cominciando ad aumentare, via via che aumentano i casi nella popolazione generale”.

I rischi dell’infezione per la donna incinta

Un’altra buona notizia è che – sempre in base ai pochi dati disponibili – non sembrano esserci effetti particolarmente negativi per le donne in gravidanza che contraggono il virus.

Le informazioni vengono in particolare da due studi cinesi, entrambi pubblicati sulla rivista Lancet. Il primo, apparso il 12 febbraio scorso, riguardava nove donne, mentre il secondo, apparso come preprint il 6 marzo, ne prendeva in considerazione 15. In entrambi i gruppi, i sintomi più comuni sono stati la febbre e la tosse, mentre come parametri di laboratorio sono stati registrati linfocitopenia (diminuzione del numero di linfociti nel sangue) e aumento della proteina C reattiva. In alcuni casi la TAC al torace ha permesso di diagnosticare polmoniti lievi e in nessuno dei casi presi in esame è stato necessario un ricovero in terapia intensiva. “Questo ci rincuora, ci fa sperare di non avere casi drammatici, anche se l’informazione ricavata da poco più di 20 casi non può ritenersi conclusiva” precisa Donati.

Altra notizia positiva è che finora non è mai stato registrato alcun decesso di donna in gravidanza positiva a nuovo coronavirus, come conferma anche l’analisi riferita ai decessi italiani. Secondo gli ultimi dati disponibili dell’ISS, aggiornati al 13 marzo, le donne decedute positive al virus sono state il 28,4% del totale (gli uomini dunque il 71,6%). L’età media al decesso è pari a 79,4 anni, più elevata per le donne (84 anni) rispetto agli uomini (79 anni).

I rischi per il feto e il neonato

Di nuovo: per quanto scarse, le notizie su questo aspetto sembrano positive. I due studi su Lancet già citati non hanno riportato casi di aborto, asfissia grave o morte perinatale. Tutti i neonati avevano un indice di Apgar normale (un indice che segnala lo stato di benessere generale del bambino appena nato). Del resto non c’è al momento alcuna prova che il virus possa trasmettersi per via verticale dalla mamma al feto, attraverso la placenta, o al neonato durante il parto.

In letteratura è riportato il caso di un neonato cinese positivo al virus, e un altro caso è stato segnalato dal tabloid inglese The Sun. In entrambi i casi, tuttavia, è stato  sottolineato che non ci sono prove che sia avvenuta trasmissione verticale e che anzi è molto più probabile una trasmissione attraverso goccioline respiratorie della madre (o di operatori sanitari) dopo la nascita. Entrambi i bambini comunque stanno bene.

Un documento per il grande pubblico su nuovo coronavirus e gravidanza pubblicato il 13 marzo scorso dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists riporta che in Cina ci sono stati alcuni casi di nascite premature tra bambini nati da donne con sintomi da coronavirus, ma non è chiaro se la nascita prematura sia stata causata da un’eventuale infezione o dalla decisione dei medici di far nascere prima il bambino.

Parto vaginale o cesareo?

Sulla base di quanto riportato in letteratura, per esempio in un documento di indirizzo per professionisti dell’International Society of Ultrasound in Obstetrics & Gynecology (ISUOG), al momento non ci sono indicazioni specifiche sulla scelta della modalità del parto e sulla necessità di induzione prima del termine per le donne con sospetta COVID-19 o positive al virus. “Timing e modalità del parto – precisa il gruppo di lavoro ISS – come pure la scelta dell’anestesia generale o regionale dipendono dalle condizioni cliniche della donna, dall’età gestazionale e dalle condizioni fetali”. È comunque raccomandabile una gestione multidisciplinare che oltre ai ginecologi-ostetrici e agli specialisti di medicina materno-fetale preveda il coinvolgimento di ostetriche, anestesisti, intensivisti, virologi, microbiologi, neonatologi e specialisti in malattie infettive.

Allattamento, tutte le raccomandazioni

I dati a disposizione dicono che non è mai stato trovato il virus nel latte materno, mentre si sa che in passato è stata documentata la presenza in campione di latte materno di anticorpi contro il virus SARS-COV-1 (responsabile della SARS). “Dunque da una parte non è mai stata documentata trasmissione verticale attraverso latte materno e dall’altra, invece, c’è la plausibilità biologica che la mamma che ha contratto l’infezione passi al suo bambino attraverso il latte degli anticorpi protettivi contro il virus stesso” commenta Angela Giusti.

Queste considerazioni, unite a quelle relative ai ben noti effetti benefici dell’allattamento materno, ha spinto varie agenzie e gruppi sanitari internazionali a pronunciarsi in maniera positiva rispetto all’allattamento da parte di mamme affette dall’infezione (o con sospetto di infezione). L’Organizzazione Mondiale della Sanità, per esempio, non raccomanda la separazione madre-bambino e indica che la madre può continuare ad allattare “considerati i benefici dell’allattamento e il ruolo insignificante del latte materno nella trasmissione di altri virus respiratori”.

Altri, per esempio il documento della ISOUG già citato o la Società italiana di neonatologia, in collaborazione con il Tavolo tecnico sull’allattamento al seno del Ministero della salute, distinguono tra due situazioni differenti. Se la mamma è positiva al virus, ma asintomatica o con sintomi lievi, si può tenerla insieme al bambino, privilegiando l’allattamento. Ovviamente se sta bene alla mamma stessa e prendendo precauzioni per evitare il trasferimento di goccioline respiratorie, cioè indossare la  mascherina, lavarsi bene le mani prima e dopo la poppata, disinfettare le superfici con le quali viene in contatto la mamma. Se invece la donna presenta un’infezione pienamente sintomatica viene raccomandata la separazione temporanea dal bambino, “sottolineando comunque che la decisione se separarli o meno va presa per ogni singola coppia tenendo conto del consenso informato della madre, della situazione logistica dell’ospedale ed eventualmente della situazione epidemiologica locale relativa alla diffusione del virus”. In caso di separazione, si raccomanda comunque l’uso del latte materno spremuto, anche per mantenere la produzione di latte da parte della mamma.

“Il fatto è che in un momento del genere, in cui le prove a disposizione sono rassicuranti ma scarse, non possiamo fare raccomandazioni forti per dire assolutamente allattate o assolutamente non allattate” commenta Giusti. “Com’è corretto che sia, i medici si preoccupano per la salute di mamme e bambini, dunque c’è chi nel dubbio sconsiglia l’allattamento. Ma così si nega ai neonati l’unica possibile fonte di protezione. Certo, ci sono situazioni in cui si può dire meglio di sì o meglio di no, ma molto dipende dalle effettive condizioni cliniche della donna e dai suoi desideri. Il problema è che in una condizione di emergenza è più difficile fermarsi in team a ragionare su questi aspetti e nel dubbio può esserci la tendenza a far passare il latte materno in secondo piano. Invece è un errore, perché l’allattamento al seno è anche una strategia di difesa della salute pubblica e dunque non bisognerebbe mai perdere occasioni per promuoverlo”.

In questo comunque, secondo Giusti potrebbe avere un ruolo preziosissimo e insostituibile il cosiddetto “territorio”: ginecologi e ostetriche dei consultori e pediatri di libera scelta. “Sono tutte figure che al ritorno a casa dopo il parto potrebbero accompagnare la mamma con COVID-19 nel suo percorso sull’allattamento, ragionando con lei su come si sente e avvertendola che potrebbe essere opportuno congelare del latte spremuto ed elaborare una strategia di separazione temporanea, perché in caso di peggioramento dei sintomi potrebbe essere necessario un ricovero in ospedale”.

Consigli per la popolazione generale di donne in gravidanza

Il nuovo coronavirus preoccupa non solo chi è positivo, ma anche chi non lo è e giustamente teme il contagio. Non ci sono tuttavia indicazioni specifiche di prevenzione per le donne in gravidanza. Come ricordano varie agenzie sanitarie internazionali e società scientifiche valgono anche per loro le precauzioni suggerite per tutti e soprattutto lavarsi le mani spesso e in modo scrupoloso e, se il lavoro lo permette, restare a casa limitando il più possibile le uscite e a maggior ragione i contatti con persone che mostrano sintomi respiratori (compreso il partner).

A proposito di lavoro, una nota dell’ISS ricorda che in Italia le leggi sulla tutela della maternità prevedono un eventuale cambio di mansione o l’astensione dal lavoro in caso di rischio per la gravidanza e invita professionisti sanitari e datori di lavoro a valutare insieme alle donne in gravidanza l’opportunità o meno di queste modifiche.

Un’altra preoccupazione comune riguarda la possibilità di effettuare tutte le visite e gli esami previsti dal percorso nascita. In effetti in alcuni casi queste visite possono essere rimandate, come risposta all’esigenza di riorganizzare l’accesso agli ambulatori evitando affollamenti nelle sale d’attesa, ma la gravidanza è considerata per definizione una condizione d’urgenza per cui tutto quanto previsto per questi mesi è tendenzialmente garantito. Diverso il discorso per prestazioni ginecologiche non ostetriche – come esecuzione di Pap test o visite per la contraccezione – che in molti centri sono state temporaneamente sospese. Sicuramente chiusi, invece, i corsi di accompagnamento alla nascita, sempre per evitare contatti non indispensabili. Molte realtà stanno tuttavia organizzandosi con corsi online (e lo stesso vale per gruppi di allattamento o incontri sul post parto), per non lasciare le donne sole in questo difficile momento.

Infine, una richiesta alle donne da parte degli operatori di ospedali e consultori che, pur non citandoli, abbiamo consultato per questo articolo: in caso di sintomi respiratori, dichiararli con serenità agli operatori stessi, sottolineando anche eventuali contatti con persone positive al virus. È vero che in gravidanza o in puerpuerio spaventa l’idea di essere inserite in un percorso di assistenza che potrebbe prevedere anche il ricovero, ma essere esplicite sulla propria condizione rappresenta  una misura protettiva nei confronti di se stesse, degli operatori (che sono già tra i più esposti al rischio di infezione) e della comunità tutta.


Leggi anche: Il mondo è diviso sulle strategie per arginare la pandemia di COVID-19

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagini: Pixabay

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance