Come si studia il bioaerosol: intervista all’astrobiologo David J. Smith
L’atmosfera terrestre non è solo un involucro di gas che avvolge e protegge il nostro pianeta, ma una vera e propria estensione della biosfera. Più di quanto immaginiamo.
L’annuncio della presenza di fosfina nell’atmosfera di Venere ha suscitato molti dibattiti nella comunità scientifica perché questo gas potrebbe essere un’importante biofirma. Difficile da ottenere con processi naturali abiotici sui pianeti rocciosi, è stato ipotizzato che possa essere prodotto da microrganismi fluttuanti tra le nuvole venusiane. Questi piccoli esseri si sarebbero adattati alle avverse condizioni ambientali vivendo sospesi nell’atmosfera, in una sorta di ciclo, prevalentemente sotto forma di spore essiccate. Tuttavia, tornerebbero attivi per certi periodi, durante la loro permanenza tra i 50 ed i 60 chilometri di quota, dove le temperature sono più miti e, forse, è stata rilevata la fosfina. L’ipotesi si basa sull’esperienza terrestre, dove microrganismi di vario genere sono stati trovati vivi a diversi chilometri di altezza.
Ma che tipo di biologia troviamo esattamente nell’aria che respiriamo e ancora più in alto, sopra le nostre teste? OggiScienza ne ha parlato con il Dr. David J. Smith, astrobiologo dell’Ames Research Center della NASA.
Il Dr. Smith, che ringraziamo per la disponibilità, dirige l’Aerobiology Laboratory, una sezione ad hoc presso l’Ames dove gli scienziati studiano gli organismi e le particelle di origine biologica che galleggiano nell’atmosfera del nostro pianeta. Le ricerche condotte sul cosiddetto bioaerosol non solo migliorano la nostra conoscenza dei processi biologi che avvengono sulla Terra ma offrono importanti indizi per esplorare la vita extraterrestre in altri mondi, dove potrebbero esistere biosfere locali in grado di sostenere la vita.
Dr. Smith, quando si parla di vita sulla Terra, generalmente si pensa alla vita in superficie o negli oceani e ci si dimentica che può esistere biologia anche in quota. Che tipo di vita è e come finisce lì?
«La vita microscopica dalla superficie terrestre viene spinta nell’atmosfera dai venti. I microrganismi viventi o i residui biologici possono rimanere sospesi nell’atmosfera, proprio come le particelle di polvere, fumo o smog. Nell’atmosfera galleggia la stessa quantità di diversità microbiologica che troviamo sulla superficie terrestre ma con una concentrazione molto inferiore e la maggior parte è dormiente, se non morta, a causa delle dure condizioni in quota».
A quali altitudini abbiamo cercato finora e quanto in alto può arrivare il materiale biologico?
«Non siamo ancora del tutto sicuri su dove si fermi il confine superiore della biosfera terrestre, ma una manciata di articoli scientifici sottoposti a peer-review hanno riportato firme biologiche nella stratosfera media a circa 38 chilometri. È tremendamente difficile acquisire campioni ad altitudini estreme. Per raggiungere la stratosfera dobbiamo usare palloni scientifici o aerei ad alta quota e per andare ancora più in alto nella mesosfera, sarebbero necessari razzi sonda».
Le nostre conoscenze delle porzioni atmosferiche più elevate si basano ancora sul lavoro pioneristico svolto negli anni ’70, quando furono raccolti campioni d’aria tra i 48 e gli 85 chilometri di quota [NdA].
Quali sono le concentrazioni di materia biologica e in particolare di microrganismi viventi? Se consideriamo l’intera atmosfera questi esseri hanno molto più spazio a disposizione di quelli che vivono in superficie!
«Esatto, l’atmosfera terrestre è enorme. È quasi inconcepibilmente grande, come un invisibile “oceano” d’aria sopra le nostre teste. Le concentrazioni di aerosol biologici variano ampiamente, a seconda dell’altitudine campionata, del periodo dell’anno, dell’ora del giorno, della topografia locale e delle condizioni meteorologiche. Pertanto, è difficile fare generalizzazioni. Tuttavia, sappiamo che la concentrazione di microrganismi atmosferici è più alta nello strato limite [atmosferico], che è la porzione dell’atmosfera terrestre più a contatto con la superficie, fino a circa 2 chilometri dal suolo.
Nello strato limite, i batteri sono tipicamente presenti in concentrazioni comprese tra 10.000 e 100.000 cellule per metro cubo d’aria e tra circa 1.000 e 10.000 cellule per millilitro nell’acqua delle nuvole».
Si può dire che c’è una stratigrafia nella distribuzione del materiale biologico aereo?
«C’è un bel po’ di mescolanza nell’atmosfera. Uno dei nostri studi recenti ha mostrato che il segnale microbico sembrava più o meno lo stesso nella troposfera superiore rispetto alla stratosfera inferiore. Ma il nostro rapporto successivo ha anche trovato alcuni microbi solo alle basse altitudini comparate a quote più elevate durante lo stesso volo. Ad esempio, abbiamo trovato solo polline di pino all’altitudine più bassa campionata e questo non è stato sorprendente considerando che abbiamo sorvolato la catena montuosa della Sierra Nevada, ricca di foreste. I granuli di polline sono relativamente grandi, quindi è meno probabile che raggiungano altitudini più elevate. Più grande è la particella, minore sarà il tempo che trascorrerà nell’atmosfera, a meno che non la influenzino venti ascensionali molto forti, come nei temporali».
Questi microrganismi aerei svolgono il proprio ciclo vitale anche in alta quota? Come sopravvivono?
«Probabilmente no. La maggior parte dei microrganismi presenti nell’aria sono dormienti quando vengono dispersi o distrutti perché l’atmosfera è estremamente fredda, secca e irradiata. Tuttavia, a bassa quota, le nuvole calde potrebbero fornire un’oasi atmosferica dove potrebbero verificarsi brevi guizzi di attività aerea».
Proprio come gli esseri viventi sulla superficie modificano il pianeta, questi microrganismi interagiscono in qualche modo con l’ambiente atmosferico (nuvole, vento, …)?
«Affinché si formino nuvole e precipitazioni, l’acqua deve nucleare attorno a una particella. Questi cosiddetti nuclei di condensazione delle nuvole e del ghiaccio possono effettivamente essere microbi viventi, frammenti o sottoprodotti della biologia».
Il Pseudomonas syringae, per esempio, è stato trovato in campioni di pioggia, neve e nuvole. E si è scoperto che le proteine sulla sua membrana esterna sono in grado di produrre la nucleazione in modo altamente efficiente. Quindi così come salgono, questi microrganismi possono anche scendere? Ci sono anche agenti patogeni tra loro?
«Esatto, ciò che sale alla fine deve scendere. I microrganismi atmosferici ricadono tutti sulla superficie terrestre a causa della gravità o delle precipitazioni. Ci sono state alcune segnalazioni di patogeni vegetali che si disperdono nell’atmosfera ma sono necessarie molte più ricerche su questo argomento per valutare la potenziale relazione. Si ritiene che la ruggine della soia sia correlata alle tempeste di sabbia, e lo stesso si potrebbe dire per le “epidemie della Valley Fever” [note anche come coccidioidomicosi] nel sud-ovest degli Stati Uniti, dove le tempeste di sabbia trasportano un agente patogeno fungino, Coccidioides immitis. Anche le tempeste nel deserto dell’Africa sub-sahariana sono state collegate alle epidemie di un batterio mortale, Neisseria meningitidis [il meningococco], che ha colpito 26 paesi ed oltre 300 milioni di persone. Qui c’è un buon documento sul tema dei patogeni aerodispersi.
È importante riconoscere che la stragrande maggioranza dei microbi in natura sono utili o innocui. Ci preoccupiamo solo di un piccolo sottoinsieme che può causare malattie alla popolazione umana, al bestiame o ai raccolti».
Nell’esperienza con la pandemia COVID-19 si parla molto delle modalità di trasmissione del virus e queste includono anche le goccioline di saliva e la trasmissione per via aerea (sebbene non sia chiaro se questa possa avere una carica virale importante). In questo caso, molto dipende dalle capacità di sopravvivenza del virus ma, in generale, quali distanze possono percorrere gli aerosol e le particelle più grandi? In questo momento sto pensando anche a tutte le persone allergiche ai pollini… e quanto tempo possono rimanere in sospensione?
«I bioaerosol possono essere dispersi globalmente e rimanere in aria per giorni o addirittura settimane a seconda della massa d’aria e delle condizioni meteorologiche. Uno degli studi che ho condotto ha mostrato batteri ed archeobatteri che attraversano l’Oceano Pacifico. La maggior parte dei microbi presenti nell’aria viene uccisa dalla luce solare diffusa nell’atmosfera, e questo è particolarmente vero per i virus sensibili alle radiazioni ultraviolette».
Ultimamente si è parlato molto della fosfina nell’atmosfera di Venere, una probabile biofirma (anche se, al momento, questa rilevazione non sembra più così sicura). Ma potenzialmente, potrebbero davvero esistere microbi nell’atmosfera venusiana? Voglio dire, considerando il fatto che nessun microrganismo sul pianeta potrebbe provenire dalla superficie, dovrebbe esistere un vero ecosistema aereo…
«Non c’è molta acqua nell’atmosfera di Venere, quindi se lì esiste la vita, dovrebbe aver trovato un modo per gestire una grave essiccazione, per non parlare delle condizioni dovute acido solforico altamente corrosivo. Qualunque sia la causa dell’incertezza nell’atmosfera di Venere richiederà ulteriori osservazioni. Mi aspetto che nei prossimi mesi ed anni emerga una spiegazione non biologica per la fosfina ma dovremo lasciare che il processo scientifico si svolga, mentre altri team propongono le loro idee. È bello vedere dibattiti interdisciplinari ed un rinnovato interesse per Venere».
Tornando sulla Terra, come stiamo studiando la nostra biosfera aerea e quali sono gli obiettivi futuri per migliorare la gamma dei dati disponibili?
«Il campo dell’aerobiologia richiederà, un giorno, più campagne internazionali e coordinate sul campo che effettuino misurazioni simultanee alle fonti di emissione e nelle posizioni sottovento. I modelli globali possono essere districati solo con la cooperazione e le partnership globali. Sono ottimista che ciò sarà possibile nei prossimi decenni. Come per la riconosciuta importanza del monitoraggio delle emissioni di carbonio, respiriamo tutti la stessa aria sul pianeta Terra e, si spera, avremo più dati sul bioaerosol da condividere negli anni a venire».
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