SPECIALE GIUGNO – Il 1914 fu l’anno che segnò l’inizio del conflitto europeo e poi mondiale e di una profonda crisi economica e sociale; da allora nulla fu più come prima, neppure la medicina.
L’esercito italiano marciò il 24 maggio 1915, verso la tragica esperienza della Grande Guerra, con un’esperienza di sanità militare piuttosto povera. La guerra diede impulso alla ricerca medica con metodo scientifico e furono scoperti e impiegati sulfamidici e chemioterapici derivati della mostarda azotata. Si diffusero i vaccini e lo studio delle funzioni cardiopolmonari, per l’Aeronautica, portò alla produzione di ossigeno da per le miscele anestetiche.
Guerra di posizione
La guerra di trincea e di posizione, con chilometri di filo spinato, mitragliatrici e artiglierie fu un’esperienza terribile per i combattenti. Una spaventosa lotta contro il nemico, la natura, i topi, gli insetti, la fame, le malattie e per la prima volta lo shock da bombardamento. La popolazione civile, in parte evacuata, fu colpita solo marginalmente.
A differenza dei precedenti conflitti, le ferite da arma da taglio o di punta furono in genere di gravità minore mentre quelle da arma da fuoco e da schegge di granata o di sassi, diventarono predominanti. La medicina dovette adeguare, molto rapidamente, le terapie mediche e chirurgiche. I traumi e le ferite da proiettili di fucile, da pallottole o da schegge di Shrapnel causavano fratture ed emorragie che andavano drenate, stabilizzate e suturate estraendo i corpi estranei, le ferite penetranti si complicavano con infezioni e setticemie, le ferite al torace si trasformavano in pleuriti e ascessi. Inoltre l’uso dei lanciafiamme portò all’evidenza l’importanza delle ustioni e quello dei gas la morte atroce per edema polmonare acuto.
Solo alla fine del 1916, si ricorse, all’emotrasfusione di sangue conservato, anche negli ospedali di prima linea.
Le amputazioni e la stabilizzazione degli arti maciullati permettevano di tentare interventi che oggi si potrebbero definire ricostruttivi.
Radiologia
La radiologia diventò comune prassi (ne abbiamo parlato più approfonditamente qui), almeno nei luoghi in cui poteva essere trasportato l’apparecchio radiogeno a dorso di mulo, i laboratori eseguivano ricerche batteriologiche approfondite e vi fu uno straordinario impulso delle varie specializzazioni chirurgiche con la nascita della Chirurgia Plastica per aiutare i mutilati gravi a reinserirsi nella vita sociale. L’alto numero di mutilati di guerra, obbligò lo Stato a provvedere alla loro rieducazione e reinserimento sociale, istituendo già dal 1915 strutture di riabilitazione per “i mutilati e storpi di guerra” dove fiorirono l’associazionismo e mutuo soccorso.
Nuove patologie
L’affollamento dei soldati diffuse la pediculosi, il colera, il tifo petecchiale e la febbre da trincea, portata dagli escrementi dei pidocchi, con febbre alta, periodica e nevralgie acute che paralizzavano il soldato.
Il Piede da trincea era un insieme di lesioni dovute al congelamento che, se non curate in tempo, determinavano la perdita del piede o dell’intero arto e nei casi estremi anche la morte per gangrena.
Per la prima volta si osservò lo Shock da bombardamento, un gravissimo disturbo psicofisico che si osserverà in molte guerre successive. Il soldato diventava apatico, tardo nell’eseguire gli ordini o sordo a ogni sollecitazione. Decine di soldati furono accusate di ammutinamento o diserzione e fucilati per la misconosciuta nuova patologia mentale, la nevrosi di guerra, che portava al delirio di persecuzione, amnesia, incapacità di sopprimere i ricordi, perdita anche solo temporanea della parola, dell’udito e delle percezioni del mondo esterno.
La guerra totale, meccanizzata e indipendente dalla volontà dei singoli, non lasciava nessuna via di fuga e le precarie condizioni di vita portavano il soldato all’autolesionismo.
Una nuova sfida sanitaria è stata la guerra chimica condotta con gas velenosi su vasta scala (un approfondimento qui), iniziata nel 1915 con l’attacco tedesco a Ypres. L’impiego di gas irritanti del sistema respiratorio, ulceranti o urticanti, causava vesciche e ustioni sulla pelle, anche attraverso i vestiti, cecità temporanea e difficoltà respiratorie, mentre i gas letali causavano morte fulminea, “bruciando” l’apparato respiratorio e causarono nuove perdite nelle truppe.
Il conflitto terminò il 4 novembre 1918, con 650.000 morti, 947.000 feriti e 643.000 grandi invalidi italiani.
Immagine: Museo storico della Grande Guerra, Maserada