Gli insetti nel piatto
Il nostro modo di mangiare è sempre meno sostenibile ed è ora di ragionare su fonti alternative di proteine: con più zampe di quelle a cui siamo abituati
APPROFONDIMENTO – Entomofagia, dal greco entomos (insetto) e phagein (mangiare), è una parola che ora risulta lontana dalle abitudini quotidiane di molti di noi. È anche possibile che qualcuno non l’abbia mai sentita ed è ancora più probabile che, per molti, l’unico punto di incontro tra il cibo e gli insetti siano i moscerini intorno alla frutta. O una formica che si infila nei panini del picnic.
Eppure di mangiare gli insetti si parla da un bel po’ e nel 2013 la FAO ha pubblicato un rapporto piuttosto ampio (Edible insects: Future prospects for food and feed security) esplorando le varie componenti dell’entomofagia, dalle opportunità dal punto di vista della sostenibilità fino agli aspetti culturali o religiosi legati a questa dieta. Così lontana da noi ma già parte della quotidianità in altri luoghi del mondo – Messico, Thailandia, Laos, Malesia, India e Cina sono solo alcuni – cotti o crudi come fonte diretta di proteine, già ricca di micronutrienti (ferro, zinco, calcio) se consumata direttamente ma che viene anche usata per elaborare farine. E molto altro. Se da otto chilogrammi di mangime ne otteniamo uno di carne bovina, i dati FAO stimano che ne bastano due per un chilogrammo di insetti pronto per il consumo alimentare.
Meno mangime, più cibo
Che con l’ecosostenibilità e la ragionevolezza il nostro modo di mangiare abbia poco a che fare, questo è sicuro: secondo gli ultimi dati FAO sono 805 milioni le persone che nel mondo soffrono la fame ogni giorno, mentre 1,5 miliardi sono obese. Per di più ogni anno sprechiamo qualcosa come cinque milioni di tonnellate di prodotti alimentari. Che finiscono dritti nella spazzatura. Situazioni anche agli antipodi, dal troppo al troppo poco, ma che spiccano in un contesto comune nel quale aumenta sconsideratamente la richiesta di carne, ed enormi quantità di prodotti agricoli vengono trasformate in mangimi per il bestiame, invece d’essere lavorate e mangiate in quanto già cibo. E una volta raggiunto il fatidico anno 2050, sul pianeta potremmo aver superato i 9 miliardi di abitanti. Tanti, certamente troppi se per allora non avremo rivisto completamente le nostre abitudini alimentari, a causa delle quali potremmo presto dover dire addio anche ad alimenti che diamo per scontati come banane, olio d’oliva e sushi.
E se invece di lavorare su allevamenti più moderni (si vedano progetti come Smart Pigs) oppure sulla carne “in provetta” e via dicendo, si cercasse una fonte di proteine più economica e più sostenibile per l’ambiente? Gli insetti entrano in gioco proprio qui, anche se certo, le questioni da risolvere e chiarire sono molte. A partire dalla sicurezza: uno dei temi più vicini agli insetti, oggigiorno, è l’uso dei pesticidi – anche se poco ha a che fare per ora con il fatto di mangiarseli. Ma se è una faccenda complessa per la nostra salute adesso, è facile capire quanto lo diventerebbe nel momento in cui questi animali fossero parte della dieta occidentale. D’altronde, dice anche la FAO, “la raccolta manuale di molti insetti infestanti potrebbe non solo riempire la pancia a molti e salvare i raccolti, ma fare ulteriormente bene all’ambiente riducendo e mitigando la necessità di usare pesticidi”.
Nel piatto, ma in modo sicuro
Ed è anche per questo – tra i molti motivi in gioco – che bisogna iniziare a pensare seriamente a far entrare gli insetti nella nostra catena alimentare a un qualche livello (come mangimi più ecosostenibili per il bestiame o direttamente nel nostro piatto), elaborando normative per il loro allevamento ed entrando nell’ordine di idee che entro poche decine d’anni una fonte alternativa di proteine vada trovata. E regolata da svariati punti di vista, quello della sicurezza prima di tutto. Al Nordic Food Lab di Copenaghen stanno lavorando anche su questo aspetto, e negli anni sono emersi i potenziali rischi per la nostra salute relativi al consumo di insetti.
Questi animali hanno i loro patogeni, hanno spiegato i ricercatori alla BBC, alcune specie di mosche allevate su scarti alimentari e simili hanno per esempio mostrato livelli di cadmio superiori a quelli consentiti dalle norme UE, nei bruchi della specie Gonimbrasia belina (molto apprezzati in Africa) ci sono pericolose quantità di micotossine e, infine, in cavallette essiccate provenienti dal Messico sono stati riscontrati livelli allarmanti di piombo. E, ultima ma non per importanza, non va scordata la questione delle allergie alimentari. Se un’azienda dell’Unione Europea volesse cominciare a lavorare con gli insetti in ambito alimentare avrebbe il suo bel da fare con la Novel Food Regulation, una valutazione di sicurezza particolarmente specifica che riguarda tutti i prodotti alimentari che non fossero già ampiamente consumati come tali in Europa al tempo dell’istituzione della legge, nel 1997.
Molto da fare anche qui insomma, visto che normalmente la regolamentazione si riferisce a valutazioni su componenti “isolate” degli animali ma non agli animali interi (come sarebbe per gli insetti). Eppure già ora c’è chi vende prodotti di questo tipo illegalmente senza apparenti conseguenze, mentre altri – con insetti interi – sono stati proibiti. La questione della regolamentazione è quindi ancora una zona piuttosto grigia, il che non gioca a favore degli insetti nel piatto anche dal punto di vista dei consumatori, che dovrebbero essere “educati” e informati su basi limpide e con totali certezze su che cosa si stanno mangiando.
Guardando al futuro
«Sono circa duemila le specie di insetti che, secondo la letteratura a nostra disposizione, possono essere consumate come cibo», spiega Paul Vantomme della FAO, che domani, 24 marzo, interverrà per fare il punto sulle fonti proteiche sostenibili a un incontro organizzato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, all’Università degli Studi di Milano. Centinaia di queste specie di insetti, in giro per il pianeta, sono già consumate abitualmente come fonte di cibo. «Possono contribuire alla sicurezza alimentare e diventare parte della soluzione al problema della richiesta di proteine grazie al loro elevato valore nutrizionale, alle basse emissioni di gas serra per allevarli e alle necessità minime di acqua e terra». Il primo passo potrebbe anche essere quello di usare la biomassa degli insetti per nutrire il bestiame, “risparmiando” così prodotti agricoli che possono essere cibo e non solo mangimi.
Terreni che possono essere utilizzati per ottenere cibo direttamente per gli esseri umani, e non prodotti agricoli la cui sorte è già prevista come mangimi. Insetti che sostituiscono il mangime per il bestiame, allevati magari sugli scarti alimentari (e perché no, sul letame, altra possibilità ancora) così da dare anche una spinta al riciclaggio e un taglio agli sprechi. Meno inquinamento, meno gas serra e ammoniaca rilasciati nell’ambiente. Questo un potenziale quadro futuro, anche qui da approfondire. Se per ogni 100 grammi di peso secco la carne bovina ha sei mg di ferro, di fronte a una locusta parliamo di un valore tra gli otto e i venti mg per lo stesso peso (l’oscillazione dipende dalla specie di locusta in particolare, ma anche dalla sua alimentazione).
Perché certo, come per un qualsiasi animale tra quelli che consumiamo oggi i valori di vitamine, proteine, minerali e fibre variano in base alla dieta, all’habitat in cui cresce e alla preparazione che precede il suo arrivo nel nostro piatto. Ma anche, nel caso degli insetti, in base allo stadio della metamorfosi al quale si trovano. Se da una parte si tratta dunque di un tipo di allevamento che sembra avere meno esigenze, dall’altra sarà necessaria anche qui una scrupolosa regolamentazione.
Perciò mentre noi guardiamo avanti, gli insetti nel piatto – o nei mangimi – a che punto stanno? In Edible insects: Future prospects for food and feed security si parla di almeno due miliardi di persone che, già nel 2013, consumavano insetti come parte integrante della loro dieta di tutti i giorni. Tra gli insetti commestibili che già vengono mangiati ci sono i coleotteri (il 31%), i bruchi (18%), api, vespe e formiche (14%) ma anche cavallette, locuste e grilli (13%). Ma una cosa è sicura: anche se diventassero una diffusa e valida fonte alternativa di proteine, in futuro, gli insetti non sono un’ancora di salvezza né la cura di tutti i mali. Un po’ come quando si dice che una dieta funziona ma bisogna metterci vicino l’attività fisica, anche qui gli edible insects dovranno essere parte di una consapevolezza a più ampio raggio. Di una consistente rivisitazione del nostro modo di stare sul pianeta.
E un buon modo per farlo è ragionarci su numeri alla mano, come succede con il progetto InsectCity (qui su Vimeo) dei Belathew Labs a Stoccolma. Nel 2018 ci si aspetta che la città abbia almeno 940.700 abitanti, e per nutrirli tutti con gli insetti serviranno circa 500.000 metri quadrati di terreno adibiti al loro allevamento. Un piano alimentare a lungo termine da iniziarsi con BuzzBuilding, una prima struttura – il cui progetto ha vinto l’Architectural Review Award al MIPIM del festival di Cannes – di oltre 10 000 metri quadrati e pensata per fare da habitat ai grilli, dall’uovo fino all’individuo adulto. Una struttura comprensiva del ristorante in cui chef specializzati cucinano gli insetti, e in cui i visitatori possano osservare ogni fase dell’allevamento. Per sapere, diversamente da quanto spesso succede con il cibo che consumiamo oggi, da dove arriva (e come ci arriva) quello che hanno nel piatto.
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