L’officina pre-umana
In questi mesi l'antropologia estrae sorprese dai reperti fossili e dai sassi scombussolando la storia della nostra evoluzione
SCOPERTE – La tribù degli Hominini si sta allargando a nuove specie, l’ultima ha fatto la sua comparsa giovedì scorso su Nature: l’Australopithecus deyiremeda che viveva nell’Afar tra 3,3 e 3,5 milioni di anni fa, ai tempi del Kenyanthropus platyops nel Kenya e dell’Australopithecus bahrelghazali nel Ciad. Che folla! scrive Fred Spoor in un commento.
Per ora, domani chissà, il primo genere della famiglia è il Sahelanthropus. Precisamente Toumaï il tchadensis di 7 milioni di anni fa, quando le rive del lago Ciad erano coperte di vegetazione, titolare di un magnifico cranio che ricorda l’elmo dei cavalieri teutonici nel film “Alexander Nevsky”. Seguito da Ardipithecus, Anthropopithecus, Kenyanthropus, Paranthropus e finalmente Homo, 2,8 milioni di anni fa, cento millenni più cento millenni meno.
Ma Homo per quali caratteristiche? La manualità dell’habilis – che domanda! – il primo che abbia costruito strumenti sul finire del Pliocene, era la risposta fino al marzo scorso. Invece pare proprio di no. Circa 3,3 milioni di anni fa, un ramo ignoto, ma per contiguità geografica probabilmente un Kenyanthropus o un parente stretto, creava schegge, lame, asce senza manico.
Sonia Harmand del West Turkana Archeological Project e i suoi colleghi avevano imboccato il gretto del fiume sbagliato mentre andavano sul sito Lomekwi 3. Cercavano di ritrovare la strada quando un turkana del gruppo, Sammy Lokorodi, ha notato un sasso insolito, e due, e venti. E altri 130 un anno dopo durante gli scavi, tutti nello stesso fazzoletto di terra. Li hanno descritti su Nature e in anteprima durante una conferenza a San Francisco. Per una volta, sembra non esserci polemica sulla datazione, forse perché i ricercatori hanno usato due tecniche paleo-magnetiche diverse e sono arrivati allo stesso risultato.
A ovest del lago Turkhana c’erano artigiani che ragionavano, progettavano, facevano ipotesi sullo scopo dello strumento, sulla sua forma e quella della propria mano, in termini di massa, forze, dinamica. “E di ricorsività,” sottolinea Telmo Pievani, filosofo delle scienze biologiche all’università di Padova, autore di libri sull’evoluzione e insieme a Luigi Luca Cavalli Sforza del saggio e della fortunata mostra Homo sapiens. La grande storia della diversità umana (Codice Edizioni, 2011). All’improvviso o a tappe, prima degli umani è comparsa la facoltà intellettuale che ci contraddistingue: la capacità di rappresentare in astratto lo strumento necessario per ricavarne un’altro con il quale ricavare…
Anche i cebi dai cornetti studiati da Elisabetta Visalberghi “progettano”: si portano appresso il sasso adatto a spaccare noci e quando hanno raccolte un po’ cercano una pietra liscia che fa da incudine, ma non prevedono oltre. Né i corvi della Nuova Caledonia che piegano a uncino dei ramoscelli per pescare larve sotto la corteccia degli alberi. Né i delfini che strappano un pezzo di spugna e se ne coprono il naso per stanare pesci nella sabbia senza farsela salire nelle narici.
“Nel cervello dell’artigiano keniota è successo qualcosa di straordinario: ha collegato fra loro i sistemi della vista, della propriocezione, del movimento e rappresentazioni astratte del futuro”, dice Telmo Pievani. “Che cosa è la domanda delle domande”. Forse non ci sarà mai una risposta, ma possiamo metterci nei suoi panni di “pre-umano”, ricordare che da bambini abbiamo scheggiato un sasso e, da umani, provare le stesse emozioni.
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Crediti immagine: West Turkhana Archeological Project