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Immunoterapia per il cancro al colon: a che punto siamo

La ricerca è in fermento, ma ci vorrà del tempo: oggi la terapia può interessare solo alcuni casi di tumore colorettale metastatico e in Europa non ci sono ancora farmaci approvati.

I farmaci immunoterapici agiscono come un cavallo di Troia, per fare in modo che il sistema immunitario del paziente sia in grado di riconoscere le cellule tumorali per poi sconfiggerle. Foto: Pixabay

Il tumore del colon retto è il secondo tumore in Italia per frequenza, dopo il tumore alla mammella nelle donne e alla prostata negli uomini. L’arma vincente è sicuramente la prevenzione attraverso lo screening che viene offerto gratuitamente (anche se purtroppo pochi aderiscono) e che permette di eliminare già per via endoscopica il polipo/adenoma, un “pre-tumore”, o per via chirurgica il tumore a uno stadio precocissimo, tale da far sì che nella quasi totalità dei casi si risolve il problema prima ancora che diventi tale.

Laddove non c’è prevenzione il rischio è che il tumore diventi molto aggressivo e si diffonda fino a metastatizzare in altri organi. Fino a qualche anno fa le uniche possibilità per i casi già metastatici erano terapie mediche quali la chemioterapia insieme a anticorpi monoclonali e in alcuni casi anche la radioterapia, mentre da qualche tempo sono in corso trial sperimentali che tentano un approccio immunoterapico anche per questo tumore. L’immunoterapia consiste nell’impiego di farmaci che agiscono come un cavallo di Troia, per fare in modo che il sistema immunitario del paziente sia in grado di riconoscere con precisione e in maniera selettiva le cellule tumorali per poi sconfiggerle. Oggi viene impiegata anche per le malattie autoimmuni.

Non si tratta però di una terapia che può interessare tutti i casi di tumore colorettale metastatico e a oggi nessun farmaco è approvato a questo scopo in Europa. “Dobbiamo sicuramente ridimensionare le speranze rispetto ad altri tumori dove l’immunoterapia è un’offerta ampiamente utilizzata” spiega a OggiScienza Salvatore Siena, Direttore, del Dipartimento di Ematologia e Oncologia dell’Ospedale Niguarda e Università di Milano . “Al momento intorno al 5% dei pazienti metastatici con cancro al colon-retto sono candidati per l’immunoterapia, in particolare il trattamento con inibitori del checkpoint”.

I microsatelliti e l’immunoterapia oggi

A fare la differenza l’instabilità dei microsatelliti (MSI-H). Lo status di instabilità microsatellitare è un fattore prognostico e predittivo per i tumori colorettali: pazienti con elevata instabilità microsatellitare hanno una prognosi migliore di quelli con microsatelliti stabili (MSS). “Nel primo gruppo, rompendosi facilmente e avendo un deficit nel suo sistema di riparazione, il DNA del cancro è più soggetto a mutazioni che lo rendono dunque più vulnerabile all’immunoterapia” spiega Siena.

Al momento sono di più i punti che rimangono da chiarire che i progressi raggiunti, come raccontava nel marzo 2019 un articolo pubblicato su Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology a firma di Luis Diaz e colleghi, che racconta che sono in corso valutazioni cliniche dell’approccio con inibitori di checkpoint anche per i tumori non attualmente rispondenti.

“Attualmente ci sono tre farmaci già utilizzati nell’immunoterapia per altri tipi di tumori che attendono l’ultima fase dei trial clinici per testare efficacia e sicurezza anche per questo tipo di tumore”, prosegue Siena, “ma il fatto di non aver ancora ottenuto risultati comparativi, cosiddetti di fase III, fa sì che in Europa i farmaci non siano stati approvati dall’EMA, l’Autorità Europea del Farmaco, e quindi nemmeno da AIFA. In altri paesi, come gli Stati Uniti, vengono invece già utilizzati”. La FDA ha concesso un’approvazione accelerata agli anticorpi anti-PD1 pembrolizumab e nivolumab e alla combinazione di nivolumab con l’anticorpo anti-CTLA4 ipilimumab per il trattamento del cancro metastatico del colon retto con microsatelliti stabili.

“Inoltre, anche se ci sono paesi che hanno iniziato a utilizzare i farmaci per il cancro del colon-retto con caratteristiche MSI-H, non abbiamo tuttavia al momento dei dati comparativi sulla loro efficacia rispetto alla sola chemioterapia. In ogni caso, trattandosi di pazienti molto gravi, si tratta di una sopravvivenza media guadagnata di qualche mese, anche se ci sono casi di pazienti che sono sopravvissuti per qualche anno”.

La buona notizia è che alcuni trial clinici indipendenti per l’ultimo step già sono in atto, insieme a progetti di ricerca per fare in modo che una fetta maggiore di pazienti possa eventualmente beneficiare della terapia. Proprio all’Ospedale Niguarda è in corso e sarà esteso a breve ad altri ospedali un progetto AIRC chiamato ARETHUSA che mira a rendere suscettibili di immunoterapia anche altri ammalati di quell’85-90% dei casi di tumore al colon-retto che non presenta l’instabilità dei microsatelliti (MSS), ovvero una differenza nel numero di ripetizioni di brevi sequenze di DNA ripetute tra il tessuto tumorale e quello normale.

“I dati clinici sono iniziali e si basano su uno studio svolto in collaborazione con Alberto Bardelli del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino che abbiamo pubblicato su Nature“. Questa ricerca ha evidenziato il ruolo della terapia oncologica come preparatoria nel rendere suscettibile anche il tumore al colon retto MSS all’immunoterapia”.


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.