Attenzione a interpretare troppo alla leggera certi dati statistici: non sarebbe la malattia mentale a provocare la tendenza a comportamenti violenti, ma altri fattori di tipo ambientale associati all’emarginazione
NOTIZIE – L’impegno per ridurre lo stigma verso chi soffre di disturbi mentali non finisce mai. A volte a rendere le cose piùù difficili ci si mette pure la scienza ufficiale. Un esempio è uno studio di qualche anno fa che sosteneva l’esistenza di un legame fra il disturbo bipolare (noto anche come sindrome maniaco-depressiva) e la tendenza a commettere atti violenti. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Karolinska e dell’Università di Oxford oggi però esortano a una maggiore cautela nel divulgare dati come questi: secondo quanto osservato in un loro recente studio infatti non è il disturbo in se a rendere più probabili i comportamenti violenti, ma altri fattori che possono trovarsi associati alla malattia, fattori spesso determinati dalla scarsa qualità di vita e dalla discriminazione sociale a cui sono soggette le persone affette da malattia mentale.
Lo studio (pubblicato su Archives of General Psychiatry) ha confrontato l’incidenza dei crimini violenti in una popolazione di 3.700 pazienti affetti da disturbo bipolare (seguiti dal sistema sanitario svedese fra il 1973 e il 2004) con quella in 37.000 individui presi dalla popolazione generica. Il dato è piuttosto interessante: il 21% dei pazienti ai quali era stata diagnosticata anche una forte dipendenza da sostanze stupefacenti è stato condannato per crimini violenti, ma solo il 5% di pazienti bipolari “puri” (senza abuso di droghe) aveva subito la stessa sorte. Quest’ultimo dato, commenta Niklas Långström, direttore del Centro pre la prevenzione della violenza dell’Istituto Karolinska, tra gli autori dello studio, è molto vicino a quello della popolazione “normale” (3% di persone condannate per crimini violenti).
Dunque non sarebbe il disturbo a spingere le persone ad atti violenti, quanto piuttosto la dipendenza da stupefacenti. L’osservazione è ancora più significativa se si tiene conto di uno studio precedente degli stessi autori, dove percentuali molto simili si sono trovate per i pazienti schizofrenici.
Niente di nuovo insomma – in Italia molti psichiatri lo ripetono da decenni (e ne hanno fatto una battaglia per i diritti civili) – non è tanto la malattia mentale a creare le condizioni per il comportamento criminale, quanto le condizioni di emarginazione in cui spesso le persone malate finiscono, un disagio che spesso viene affrontato attraverso l’abuso di alcool e stupefacenti. Långström spera che questi risultati spingano a rivedere certe interpretazioni (che definisce ipersemplicistiche) dei crimini violenti. “La paura e lo stigma ingiustificato nei riguardi della malattia mentale aumenta l’alienazione delle persone colpite da disordini psichiatrici e le rende meno propense a ricorrere alle cure di cui hanno bisogno,” ha concluso lo scienziato