Sono poche le persone che dichiarano apertamente e consapevolmente che le donne sono meno portate per certi compiti o abbiano scarse abilità. Ma se si studiano gli stereotipi dal punto di vista neurologico e cerebrale si scopre che molti uomini, in fondo, sono dei gran maschilisti.
NOTIZIE – Virgina Woolf nel 1938, nel suo fantastico saggio pacifista e femminista Le tre ghinee, aveva già identificato questo problema e così descriveva la situazione delle donne impiegate negli uffici pubblici nella Gran Bretagna degli anni Trenta:
“Vogliamo scoprire, non dimentichiamolo, che odore emana il sesso in un ufficio pubblico; non di fatti si tratta ma di effluvi appena percettibili. (….)
L’odore dunque — o la vogliamo chiamare “atmosfera” — è un elemento importantissimo nella vita professionale, anche se, al pari di altri importanti elementi, è impalpabile. Può sfuggire al fiuto degli esaminatori nell’aula degli esami, e tuttavia penetrare in Commissioni e Divisioni e fare effetto su chi vi lavora. (…)
L’atmosfera evidentemente è qualcosa di molto potente. Non solo ha la facoltà di cambiare forma e domensioni alle cose; influisce anche su sostanze solide come gli stipendi, che si sarebbero creduti insensibili alle atmosfere. (…) l’atmosfera è uno dei nemici più potenti, in parte perché è impalpabile, contro i quali le figlie degli uomini colti devono combattere.”
Ora, finalmente, questo odore, che più appriatamente chiameremo puzza, è stato identificato in modo scientifico da uno studio realizzato al Dipartimento di Psicologia dell’Università Bicocca di Milano e pubblicato su Neuroimage, e si nasconde nella corteccia prefrontale degli uomini (nel senso di maschi), un’area del cervello che matura per ultima e che svolge compiti cognitivi di alto livello.
Come hanno fatto a scoprirlo? Per dimostrare che gli stereotipi sono ancora ben radicati nel modo di pensare maschile, Zaira Cattaneo, Costanza Papagno, Giulia Mattavelli ed Elisa Platania hanno somministrato un test a 31 giovani uomini e 31 giovani donne. Il test, Gender Implicit Association Test (IAT), è in grado di rilevare e misurare gli stereotipi legati al genere: al centro di un monitor compare un nome di persona che i partecipanti devono classificare come maschile o femminile usando un tasto destro o sinistro. Poi, con gli stessi tasti, i partecipanti devono associare il genere a sostantivi che rappresentano concetti quali “forza” o “debolezza”. Quando è stato chiesto di classificare “femminile” e “forza” i partecipanti maschi hanno commesso più errori rispetto a quando lo stesso tasto è stato usato per classificare “femminile” e “debolezza”. Il contrario è capitato per i sostantivi maschili.
In generale tra gli uomini vi è una forte tendenza ad associare forza, successo, prestigio, autorità, potere al genere maschile, mentre fragilità, indecisione, passività, sottomissione sono sempre associate al genere femminile.
E questo non basta… le ricercatrici hanno applicato anche la tecnica della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), che permette di interferire selettivamente con l’attività di una certa area cerebrale e quindi di studiarne il ruolo in un determinato processo cognitivo. È stato così scoperto che la corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia prefrontale dorsomediale possono, entro certi limiti, controllare gli stereotipi: infatti, quando queste aree sono state temporaneamente inibite dalla stimolazione, i partecipanti maschi hanno associato in maniera ancora più netta parole legate alla forza al sesso maschile, e parole legate alla debolezza al sesso femminile.
In pratica gli uomini, anche se non in maniera consapevole, considerano il successo e il prestigio come prerogative del loro sesso, anche se questa tendenza viene parzialmente frenata dal controllo esercitato dalla corteccia prefrontale, limitandone gli effetti discriminatori.
Emerge quindi chiaramente il ruolo importante dell’ambiente e dell’educazione. Naturalmente non solo per le questioni legate al genere ma per tutti gli stereotipi, anche quelli connessi con l’etnia per esempio.
Dopo questa ricerca risulta ancora più importante insistere affinché i modelli prevalenti di donna, che oggi e soprattutto in Italia, vengono spesso sviliti a ruoli infimi e degradanti, siano profondamente modificati. Per questo serve l’impegno di tutti.