RICERCA – A più di tre anni dall’incidente nucleare di Fukushima, i rischi legati ai materiali radioattivi rilasciati nell’ambiente non smettono di far discutere. Mentre gli ingegneri della TEPCO, la Tokyo Electric Power Company, sono impegnati in una lotta contro il tempo per la costruzione di una barriera di ghiaccio che bloccherebbe la fuoriuscita di acque radioattive nell’oceano, una ricerca suggerisce che l’esposizione a materiali radioattivi potrebbe avere conseguenze sulle cellule del sangue in una popolazione di primati che vive nei pressi della centrale di Fukushima.
Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori giapponesi, e pubblicato su Scientific Reports.
Negli anni che hanno seguito l’incidente, non sono mancate le rassicurazioni da parte delle autorità e di organizzazioni internazionali sull’assenza di un vero rischio per la salute umana a seguito dell’esposizione ai materiali radioattivi dispersi dalle esplosioni della centrale nucleare. Le ultime stime ufficiali risalgono allo scorso aprile, quando l’UNSCEAR, il Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli Effetti delle Radiazioni Atomiche, ha rilasciato un rapporto che valutava i livelli di esposizione alle radiazioni e i potenziali rischi. Anche quel rapporto, come la precedente valutazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha sottolineato che non ci si aspetta nel futuro effetti sulla salute della popolazione di Fukushima, subito evacuata dalle regioni più esposte alle radiazioni.
Le dosi medie di radiazioni a cui sarebbero esposti a causa dell’incidente gli abitanti delle aree intorno alla centrale non dovrebbero superare i 10 millisievert nel corso di tutta la vita. Confrontato con il valore di 170 millisievert di fonte naturale che ricevono in media i giapponesi durante la vita, il dato non sembra particolarmente preoccupante (ne avevamo parlato anche qui).
Una ricerca condotta su macachi giapponesi che vivono nell’area forestale intorno alla centrale sembra sollevare però qualche timore. Nei muscoli degli animali i ricercatori hanno misurato livelli di cesio radioattivo tra i 78 e i 1778 becquerel per kilogrammo, e una conta di cellule del sangue minore rispetto a un altro gruppo di scimmie che popola una regione distante da Fukushima. In questa comunità di controllo, situata nella penisola di Shimokita, a circa 400 km dalla centrale nucleare, il livello di cesio misurato nei muscoli degli animali non raggiunge la soglia con cui può essere riconosciuto.
Il gruppo di primatologi e veterinari, guidati dalla Nippon Veterinary and Life Science University di Tokyo, ha raccolto i campioni biologici nelle due popolazioni di macachi tra aprile 2012 e marzo 2013. Misurando i valori ematici degli animali, hanno osservato nelle scimmie di Fukushima un minor numero di globuli bianchi e di globuli rossi. L’ematocrito, cioè il volume complessivo del sangue composto da cellule, e il livello di emoglobina sono risultati similmente inferiori nei macachi che popolano la foresta vicino alla centrale rispetto al gruppo di controllo. Questa differenza nei valori ematici, secondo i ricercatori, non significa necessariamente che la salute degli animali sia a rischio: potrebbe però indicare una compromissione del sistema immunitario.
La relazione tra i bassi livelli di cellule del sangue e l’esposizione alle radiazioni, c’è da notare, è ancora da dimostrare. Gli stessi autori dello studio ricordano che il livello di cesio radioattivo che si osserva nei tessuti degli animali è soggetto a naturali fluttuazioni, e che i valori ematici anormali potrebbero essere dovuti anche ad altri fattori non ancora identificati. La quantità di globuli bianchi, sottolineano però, sembra essere correlata con la concentrazione di cesio radioattivo nei macachi più giovani: gli animali con maggiore concentrazione di questo isotopo nei muscoli mostravano livelli di globuli bianchi più bassi.
Lo studio di questi primati potrebbe fornire dati importanti per comprendere gli effetti delle radiazioni sugli organismi che vivono in aree contaminate, ma le ricerche non sono sempre facili: l’ingresso nelle zone attorno alla centrale è infatti ancora regolato con norme severe.
I risultati della ricerca, commentano alcuni esperti, non dovrebbe aprire la porta ad allarmismi. Mentre le persone che abitano nell’area sono soggette a restrizioni e controlli nell’alimentazione (le raccomandazioni sono di non consumare prodotti locali che superano il limite di protezione radiologica giapponese di 100 kBq/kg), gli animali non subiscono questi interventi nella loro dieta, e possono quindi mostrare livelli di cesio radioattivo nei tessuti.
“Purtroppo si tratta di un altro studio che non riesce a distinguere con sufficiente forza effetti reali e rilevanti per la salute umana”, commenta al Science Media Center Geraldine Thomas, professoressa di patologia molecolare all’Imperial College di Londra e coinvolta in progetti sui tumori alla tiroide legati alle radiazioni di Chernobyl. Il rischio, secondo Thomas, è di suscitare eccessivo allarmismo: la paura suscitata dalle radiazioni è infatti uno degli effetti più dannosi sulla salute umana.
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