Sesta puntata della saga di Marco Ruggiero, professore di scienze biomediche all'Università di Firenze, prima venditore in proprio di yogurt che cura l'AIDS e ora di panacee per conto di Immuno Biotech, una ditta con sede in un paradiso fiscale, una dipendente e tre cliniche in località segrete, di cui è direttore scientifico.
Nel suo ultimo libro, Il cervello autistico, Temple Grandin spera che un giorno ogni sintomo dell’autismo sarà spiegato “stringa di Dna per stringa di Dna”. Nuove ricerche provano già a farlo “base di Dna per base di Dna”.
Un anno fa su Molecular Psychiatry, alcuni ricercatori australiani sostenevano che 237 polimorfismi a un singolo nucleotide (SNP) consentivano di prevedere precocemente l’insorgenza di “disturbi dello spettro autistico” (ASD). Non proprio.
"È possibile distinguere il cervello autistico da quello che non lo è semplicemente osservando i pattern di attività neurale? Sì, è possibile": Roberto Fernandez Galan della Cave Western Reserve University è sicuro che il metodo diagnostico da lui sviluppato con altri colleghi dell'Università di Toronto (pubblicato sulla rivista PLoS One) servirà a migliorare le diagnosi di autismo, che per ora si basano in gran parte sull'osservazione del comportamento dei bambini.
LA VOCE DEL MASTER - “Un robot non può recare danno agli esseri Umani […]” diceva la Prima legge della Robotica di Isaac Asimov. Non solo non può recare danno, ma può addirittura aiutare. Per esempio i robot potrebbero anche supportare i bambini con autismo nello sviluppare le loro capacità sociali. Un team di ingegneri meccanici ed esperti di autismo della Vanderbilt University, negli Stati Uniti, lo ha dimostrato. Lo studio è stato pubblicato nel numero di marzo di IEEE Transactions on Neural Systems and Rehabilitation Engineering.
A partire dai nove mesi normalmente un bambino comincia a sviluppare quello che gli scienziati definiscono come “attenzione condivisa”, un comportamento che consiste nel cercare di catturare e portare l’attenzione dell’altro, a partire dalla mamma, su un oggetto o una situazione, per condividere un fulcro di interesse. I bambini con autismo, però, faticano a sviluppare questa abilità e ciò comporta una serie di difficoltà di relazione e apprendimento durante la crescita. I ricercatori della Vanderbilt hanno dunque pensato di studiare l’interazione tra bambini autistici (Autism Spectrum Disorders,ASD) e robot appositamente progettati. L’idea iniziale è arrivato da Nilanjan Sarkar, professore di ingegneria meccanica, esperto di sistemi per migliorare l’interazione uomo-macchina. Sei anni fa, mentre visitava dei parenti in India, venne a sapere che al figlio di suo cugino era stato diagnosticato un disturbo autistico. Alcuni studi mostravano che i bambini autistici mostravano segnali di particolare interesse verso i robot. Bisognava però capire come sfruttare questa loro naturale inclinazione per migliorarne le capacità sociali e relazionali