Dalla tazzina ai funghi
AMBIENTE - Il caffè in Italia è una mania, ogni città ha il suo modo tipico di servirlo. Chi vi scrive per esempio abita a Trieste, città che vanta il consumo di questa bevanda fin dal Settecento. A Trieste il consumo è il doppio rispetto alla media nazionale ed esistono decine di varianti di caffè dai nomi più strampalati. La bella sorpresa è che dai resti del caffè, il nostro Paese potrebbe far soldi e creare posti di lavoro. Come? Utilizzando i fondi e gli scarti di lavorazione della tostatura per produrre funghi.
Shuting Chang, professore di biologia all’Università di Hong Kong, che collabora al progetto Zeri (Zero Emission Research Initiative), da più di vent’anni sta svolgendo delle ricerche che dimostrano come il caffè sia un substrato ideale per la coltivazione di funghi. Il professor Chang ha ottenuto ottimi risultati soprattutto per la crescita degli ostrica, degli shitake e dei reishi. I suoi studi confermano che il chicco di caffè, dalla piantagione alla torrefazione, fino al consumatore è una coltura perfettamente monitorata, soggetta a controlli qualitativi che non hanno eguali tra gli altri prodotti agricoli e tutto gioca a favore dei funghi