Federica Sgorbissa

Federica Sgorbissa

Federica Sgorbissa è laureata in Psicologia con un dottorato in percezione visiva ottenuto all'Università di Trieste. Dopo l'università, ha ottenuto il Master in comunicazione della scienza della SISSA di Trieste. Da qui varie esperienze lavorative, fra le quali addetta all'ufficio comunicazione del science centre Immaginario Scientifico di Trieste e oggi nell'area comunicazione di SISSA Medialab. Come giornalista free lance collabora con alcune testate come Le Scienze e Mente & Cervello.
CRONACA

Meno male che ci sono i nonni

NOTIZIE - Le anatre eider appioppano i figli ai nonni, a loro insaputa, quando sono ancora solo degli ovetti. Questa è la conclusione a cui è giunto Ralph Tiedemann, dell'Università di Potsdam, dopo aver esaminato dal punto di vista genetico il grado di parentela fra gli individui di due colonie di questa specie e le loro nidiate. Una strana forma di parassitismo, o meglio probabilmente una declinazione della "kin selection" che secondo Tiedemann avebbe lo scopo di massimizzare la fitness della discendenza. Stando ai campioni di sangue prelevati dalle femmine delle due colonie esaminate (una che nidifica nel sud del Mar Baltico e l'altra nell'Islanda del nord), 140 esemplari, e dei loro 506 anatroccoli, un terzo dei nidi conteneva almeno un uovo parassita, e in questi nidi circa il 40% dei piccoli era di una femmina diversa dalla padrona. Quello che è davvero interessante è che questa specie tende a scaricare l'uovo non nel nido di qualche sconosciuto, ma in quello di qualche parente, meglio se più anziano, meglio se molto stretto (le nonne quindi sono molto gettonate).
AMBIENTECRONACA

Com’era verde l’Antartico

NOTIZIE - Recuperare carote di sedimento marino in condizioni impervie, datare con difficoltà ogni strato del campione, smistare migliaia di piccolissimi granuli di polline, catalogarli e capire a quale specie vegetale apprtengono (appartenevano). Questo il lavoro titanico computo dal team multidisciplinare che segue il progetto SHALDRIL, il cui scopo è ricostruire la flora e il clima negli ultimi 36 milioni di anni nella Penisola Antartica, la parte più settentrionale del continente, l'ultima ad essere stata ricorperta dai ghiacci (negli ultimi 55 milioni di anni) e la prima a scongelarsi ai giorni nostri a seguito del riscaldamento globale. Il lavoro, finanziato dalla National Science Foundation statunitense, è iniziato nel 2002. Alcune carote di sedimento fangoso (lunghe circa 30 m) sono state prelevate nelle acque basse vicino alla costa della penisola da John Anderson, primo autore della ricerca della Rice University. Il sedimento poi è stato datato dal paleooceanografo Steven Bohaty, dell'Università di Southampton) e dal suo team. Julia Wellner (ora all'Università di Houston) ha invece analizzato le caratteristiche del sedimento per capire se si fosse formato sotto a uno strato di ghiaccio, in mare aperto o in un mix delle due condizioni
CRONACA

Il termometro sotto la lingua del dinosauro

NOTIZIE - Il dibattito decennale sul metabolismo dei dinosauri (erano animali a sangue caldo o a sangue freddo?) negli ultimi tempi sembra dar ragione all'ipotesi che si trattasse di animali endotermici, a sangue caldo appunto (soprattutto per l'accertata parentela con i moderni uccelli), ma lascia sempre spazio a qualche dubbio. Ora uno studio (pubblicato su Science Express) che ha utilizzato una tecnica mutuata dallo studio del paleoclima, dimostra che almeno per due specie di dinosauri (di grandi dimensioni), il brachiosauro e il camarosauro, la temperatura nella bocca (e presumibilmente nel resto del corpo) era piuttosto alta fra, i 36 e i 38 °c. Questo naturalmente non dice nulla su come il dinosauro raggiungesse questa temperatura (la produceva attraverso il metabolismo, come i moderni animali a sangue caldo, o la assorbiva dall'ambiente, come i rettili attuali, animali ectotermici, cioè a sangue freddo?) ma la tecnica è promettente perché può fornire dati precisi da usare nelle simulazioni sulla fisiologia dei dinosauri e in futuro potrebbe permettere di dirimere la questione
CRONACA

Kepler, lo spazzino spaziale

NOTIZIE - "Hai portato fuori la spazzatura?" "uh, quasi dimenticavo. Sgancio subito subito l'astronave" Sì, perché se sei su una stazione orbitante (per la precisione la ISS, la Stazione Sapziale Internazionale, l'unica che orbita intorno al nostro pianeta osptitando degli esseri umani) come fai a elminare la spazzatura? Dopo che hai riciclato il riciclabile, recuperato il recuperabile, non ti resta che prendere un'astronave vuota e lanciarla verso Terra, facendo in modo che si bruci per bene. Lunedì verso le nostre cinque meno dieci del pomeriggio dalla ISS è stato sganciato il veicolo automatico di trasporto Johannes Kepler (ATV) dopo che era stato riempito di tutto ciò che sulla stazione non serviva più: vestiti sporchi, contenitori di cibo, equipagiamento guasto (e persino dei contenitori di urina processata da sistema di ricliclo dell'acqua).
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OggiScienza TV – The state of the ocean

OggiScienza TV - The state of the ocean Siamo sull'orlo di un'estinzione di massa, come quelle che nella preistoria hanno cancellato dalla faccia delle Terra molte delle specie allora viventi: è il monito di un panel di 27 scienziati chiamati a raccolta lo scorso aprile a Oxford dall'Internatonal Programme on the State of the Ocean (IPSO) e dall'International Union for the Conservation of Nature. Gli scienziati dopo aver analizzato la letteratura scientifica recente hanno concluso che il degrado del mare sta procedendo in maniera ben più veloce del previsto. Il report reso pubblico lo scorso 20 giugno è scaricabile alla pagina http://www.stateoftheocean.org/ipso-2011-workshop-summary.cfm
CRONACA

Novità da Ötzi

NOTIZIE - Le analisi sulla mummia dell'uomo di Similaun si moltilìplicano e ricorstruiscono nel dettaglio le sue ultime ore di vita, le abitudini e l'aspetto fisico (e molto sta ancora per essere svelato). L'altro ieri a San Diego in California si è tenuto il settimo Congreeso Mondiale sulle Mummie e naturalmente Ötzi l'ha fatta da padrone. Per chi già non lo sapesse (ma potete leggere degli approfondimenti qui, qui e qui) Ötzi è la mummia di un uomo vissuto circa 5200 anni fa, ritrovata nelle alpi nei pressi di Bolzano nel 1991 (conservata al Mueso Archeologico dell'Alto Adige). Studiatissima, in tutti questi anni ha fornito importanti indicazioni sulla vita degli uomini nel neolitico. Oggi con le moderne tecniche di imaging e di analisi genetica sta rivelando dettagli sempre più sofisticati. Già si sapeva che Ötzi è morto poco dopo aver consumato il suo ultimo pasto (assassinato con una freccia alle spalle) ma ora la scena si delinea con una precisione mai raggiunta in precedenza. Dopo aver riesaminato una TAC eseguita sulla mummia, il microbiolo Frank Maixner, dell'Istituo per le Mummie e l'Iceman di Bolzano, e colleghi hanno individuato per la prima volta lo stomaco di Ötzi, che era finora sfuggito, in quanto l'oragano si era spostato in una posizione diversa da quella normale. Una volta trovato lo stomaco è stato facile prelevare dei campioni del suo contentuo e analizzarli (era infatti pieno...). A queanto pare, l'ultimo pranzo di Otzi è stata carne di stambecco, un animale tipico nella zona alpina, anche all'epoca del nostro Iceman.
CRONACA

Memoria aumentata con una protesi “cognitiva”

NOTIZIE - Si tratta del primo passo rudimentale, ma solo a immaginare gli sviluppi futuri c'è da farsi girare la testa. È noto che negli ultimi anni sono stati fatti enormi progressi scientifici e tecnologici nel campo delle protesi motorie: braccia, gambe, piedi artificiali, computer e vari altri dispositivi oggi possono essere controllati anche dalle persone colpite da tetraplegie solo con la forza del pensiero (attraverso elettrodi appoggiati sulla superficie dello scalpo). Poco però fino ad oggi si è fatto al di fuori del campo motorio e più precisamente in quello delle protesi che posso aumentare o rimpiazzare in caso di deficit le funzioni cognitive. Uno studio pioniere in questo campo è quello pubblicato la scorsa settimana sul Journal of Neural Engineering, firmato da Thoedore Berger, dell'Università della Southern California, e colleghi. Gli scienziati hanno creato un vero (seppur rudimentale) chip di memoria da impiantare nell'ipoccamopo di un roditore
CRONACA

Proteine âgée

NOTIZIE - quando parlo di questi argomenti, ecco, mi sento come un artificere che maneggia una mina. Oscillo fra il desiderio che siano vere, e la paura di prendere un granchio e finisco costringermi allo scetticismo. Insomma, la notizia è che su PLoS One, James Sant'Antonio, Mary Schweitzer e altri hanno pubblicato dati a supporto di una spiegazione plausbile su come le proteine possono conservarsi nei fossili per diversi milioni di anni. A qualcuno forse il nome della Sweitzer non suona nuovo. La scienziata (una collaboratrice del famoso cacciatore di dinosauri, Jack Horner, di cui abbiamo parlato solo un paio di giorni fa) è al centro di un contenzioso che dura da qualche anno. Schweitzer infatti nel 2007 ha pubblicato un famoso articolo (su Science) in cui sosteneva di aver individuato dei frammenti di proteine di collagene nell'osso femorale di un T-rex (fossile ovviamente, e vecchio di 68 milioni di anni). A quel punto la comunità scientifica s'è divisa in due, da un lato coloro che credono nella genuinità dei dati di Schweitzer e quelli che ritengono che si tratti solo di artefatti sperimentali. I secondi si basano sulla nozione accettata dalla maggior parte della comunità scientifica che le proteine siano deperibili: secondo i modelli teorici non potrebbero conservarsi più di uno o due milioni di anni, e anche i dati sperimentali (Schweitzer a parte) confermano. Le proteine più vecchie finora trovate (e accertate) appartengono a dei batteri fossili trovati nelle carote di gìhiaccio e hanno "solo" qualche centinaio di migliaia di anni.
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OggiScienza TV – Loving the alien?

OggiScienza TV - Loving the alien? Gli alieni hanno invaso i parchi milanesi: si tratta di tartarughine tropicali, due sottospecie di Trachemys scripta, una volta animali da compagnia ora abbandonate a proliferare e minacciare le specie locali. Su Nature la scorsa settimana è stato pubblicato un articolo a difesa delle specie aliene, ma molti dissentono. E intanto Maurizio Casiraghi, biolgo dell'Università Bicocca di Milano ci mette in guardia: le tartarughine tropicali milanesi mettono in pericolo le nostrane Emy orbicularis.
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